//
stai leggendo...
Letture e visioni, Testimonianze

Abortire tra gli obiettori. La moderna inquisizione

«Mi chiamo Laura Fiore, ed ho abortito il 6 giugno del 2008 al Secondo Policlinico di Napoli. Tale ospedale è dotato di un buon centro per le IVG ma, a causa della mancata regolarizzazione dell’assunzione di medici non obiettori, all’epoca in cui ebbi il mio aborto era funzionante solo per tre giorni a settimana e solo fino all’una e trenta della mattina.

Era di venerdì quando, all’una, fui mandata via dal suddetto centro che si preparava alla chiusura fino al lunedì successivo. Per proseguire l’induzione al travaglio fui spostata su di un letto da parto nel reparto travaglio e parto, comuni alle donne che partorivano. In questo ospedale neanche le donne ricoverate per far nascere i propri figli hanno diritto ad avere compagnia da parte di parenti o amiche, ma loro sono lì per partorire e di conseguenza c’è sempre qualcuno ad occuparsene. Io invece sono stata abbandonata a me stessa, trovandomi sola in un ambiente di tutti obiettori. Riuscivo a ricevere qualche visita solo se chiedevo ai medici che entravano nella mia stanza, per prendere qualche materiale che serviva loro per visitare le altre.

Nessuno ha monitorato il mio dolore fisico, le mie perdite ematiche, la mia dilatazione; alle mie domande al riguardo rispondevano tutti in maniera elusiva. Mi è stato vietato di andare in bagno per paura che potessi espellere il feto nel gabinetto; sono stata costretta a travagliare su di un lettino da parto perchè in caso di esplulsione improvvisa sarebbe stato più facile da pulire.

Stranamente sono stata aiutata durante l’espulsione, ma subito dopo sono stata lasciata sola con ancora attaccata al cordone ombellicale mia figlia che credevo morta, ed invece quando mi ha urtata muovendosi perché era ancora vitale, ho dovuto gridare perchè qualcuno intervenisse.

La legge dice che “il medico deve fare di tutto per salvare la vita del bambino” ma solo una mente perversa non comprende che ciò valga solo quando il bambino abbia reali capacità di sopravvivenza, data la sua età gestazionale. Mia figlia era sopravvissuta all’aborto  a sole 21 settimane, pertanto non aveva alcuna speranza di poter proseguire verso una vita autonoma, eppure il pediatra primario del centro di terapia intensiva prenatale decise lo stesso per la rianimazione forzata che la tenne in vita artificialmente per ancora quattro giorni. Durante questo periodo, noi genitori avremmo avuto diritto a ricevere assistenza dalla psicologa del reparto di pediatria, ma nessuno neanche ci avvertii di questa possibilità.»

Laura Fiore sintetizza così l’esperienza che ha raccontato in modo dettagliato nel libro Abortire tra gli obiettori. La moderna inquisizione: diario del mio aborto terapeutico (Tempesta editore, 2012), mentre sul blog www.abortoterapeuticoenon.blogspot.com continua a raccogliere testimonianze di donne che hanno fatto un’interruzione volontaria di gravidanza “terapeutica” cioè nel secondo trimestre dall’inizio della gestazione.

Sul blog di Laura scorrono i racconti di donne che hanno scelto di interrompere una gravidanza dopo che un esame di diagnosi prenatale ha rilevato malformazioni fetali gravi o incompatibili con la vita.

Sono storie che ci portano negli ospedali, fin dentro i reparti, fin sopra il lettino dove è avvenuto l’aborto. C’è chi racconta di essere stata trattata con rispetto, ma sono molte di più a denunciare di essersi sentite giudicata, trascurate, maltrattate e violate nella propria dignità e nel proprio dolore da parte di medici, infermieri, ostetriche. La frase di una donna da uno degli ultimi post pubblicati:

La comunicazione non era efficace ed anzi spesso era dannosa e contraddittoria, gli infermieri ci raccontavano di donne il cui feto era stato miracolato e della necessità di quell’I.V.G. [interruzione volontaria di gravidanza] per mia sorella. Ad un certo punto ho iniziato ad aver paura di quello che poteva dire il personale sanitario. Mai una volta durante il travaglio è entrato in camera un infermiere, un’ostetrica per monitorare il dolore, per valutare le perdite ematiche o la dilatazione, dati da rilevare a carico del personale sanitario. Come è possibile che in un Ospedale di un Pasese Civile accada una cosa del genere?

Nel libro “Abortire tra gli obiettori” Laura descrive le tappe del suo aborto, dal momento in cui apprende “per contatto telefonico” che il feto di cui è incinta è affetto da Sindrome di down, fino ai mesi successivi.

Passo dopo passo la seguiamo nella decisione presa con il marito e nei pensieri che l’hanno definita; nell’avvio dell’iter per l’IVG “nell’unico ospedale del Sud Italia dove oramai è possibile abortire”, nel colloquio con lo psichiatra, necessario per procedere con l’interruzione. Siamo con lei nel primo giorno in day hospital, quando si trova in mano i moduli per il “consenso informato”. Vediamo, nel suo ricordo filtrato dalla scrittura, l’inserimento in successione delle “candelette” con le prostaglandine che via via inducono al travaglio – perché un aborto, in questa fase della gravidanza, funziona come un parto; gli spostamenti da un letto a un altro, da un corridoio a un altro, la solitudine – perché ai familiari è vietato stare vicino; l’avvicendarsi dei medici, le sentenze colpevolizzanti da parte di quello che era stato fino a pochi giorni prima il ginecologo di fiducia; il divieto di andare in bagno a fare pipì, le informazioni richieste e non date; l’intervento del medico obiettore “strutturato” – si chiamano così i medici assunti in ospedale, gli unici che posso fare le IVG terapeutiche – che finalmente sblocca il travaglio ma con una manovra molto dolorosa che non le viene spiegata; l’espulsione del feto, vivo, che si dibatte per lunghi minuti tra le gambe una volta fuori. Orrore e paura è il vissuto di Laura, ma resta indicibile e impensabile per molti mesi, fino a quando la psicoterapia non la aiuterà a sollevarsi dalla depressione seguita al trauma. “Mia figlia”, dice Laura pensando alla creatura cui ha rinunciato e alla sua sofferenza. Abortito vivo, il feto sarà tenuta in vita per altri 4 giorni con rianimazione forzata. Che senso ha questa tortura? Si chiede Laura, e noi con lei.

Il racconto non tocca le corde del sentimentalismo, ma dell’indignazione. È asciutto come una cronaca ed è lucido nell’esposizione delle proprie reazioni ed emozioni. È il “J’accuse” di una persona che ha vissuto un’esperienza traumatica e che si interroga sulle condizioni che l’hanno generata: non l’aborto in sé, o non soltanto l’aborto in sé, ma le condizioni in cui è avvenuto. Per questo è anche una denuncia affilata, che fa rabbia e apre domande. Sono quelle che continuamente rilancia Laura. Come è potuto accadere? 

La negazione di un analgesico, ad esempio. La somministrazione di un analgesico non è controindicata, almeno nella fase finale del travaglio. In altri Paesi è la norma. Perché non alleviare la sofferenza fisica? “L’analgesico non si dà e basta”, era stata l’affermazione pronunciata dall’obiettore alla cui presenza era avvenuta l’espulsione. E un altro: “mi disse che secondo lui non ero pronta a espellere il feto perché non mi vedeva ancora soffrire abbastanza”.

Laura Fiore parla di “moderna inquisizione”. Nella storia incontriamo episodi di disattenzione e sciatteria non diversi da altri che popolano la vita dei nostri ospedali (punteggiata viceversa da altrettanti episodi di alta professionalità e qualità di cura che non fanno notizia). Ma qui accade qualcosa di diverso dalla malasanità pura e semplice. Tutta la vicenda è percorsa da una vena di crudeltà non spiegabile se non con un morbo che alligna tenace nella nostra cultura: la misoginia e la violenza sulle donne.

Il sito di Tempesta editore per l’acquisto del libro, anche in formato epub

Il blog www.abortoterapeuticoenon.blogspot.com

E. Cir.

Informazioni su EC

Giornalista pubblicista, bibliotecaria, web content editor, video-maker. Argomenti: diritto alla salute e salute riproduttiva, contrasto alla violenza di genere, studi di genere, cittadinanza attiva Instagram: @Eleonora_Cir

Discussione

2 pensieri su “Abortire tra gli obiettori. La moderna inquisizione

  1. i medici obiettori non dovrebbero lavorare negli ospedali pubblici

    Piace a 1 persona

    Pubblicato da Paolo | 5 marzo 2015, 19:03

Trackback/Pingback

  1. Pingback: Aborto, le parole per dirlo | Arianna Censi - 13 Maggio 2015

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Inserisci il tuo indirizzo email per seguire questo blog e ricevere notifiche di nuovi messaggi via e-mail.

Diritti d’autore

I materiali del sito sono rilasciati sotto licenza Creative commons 3.0 – non commerciale – condividi allo stesso modo.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: