Se il limite per la somministrazione, che viene spostato dalla settima alla nona settimana dall’inizio della gestazione, è cogente, sulla deospedalizzazione l’intervento delle Regioni è fondamentale. E se Toscana, Emilia e Lazio vanno nella direzione indicata, Umbria e Piemonte non hanno intenzione di adeguarsi. Necessario anche aggiungere una voce di spesa nel nomenclatore tariffario regionale così da permettere a consultori e ambulatori il rimborso per la prestazioni
Le linee di indirizzo sull’aborto farmacologico promulgate dal ministero della Salute il 4 agosto scorso rendono possibile interrompere una gravidanza con i farmaci, Ru486 e prostaglandine, fino alla nona settimana di gestazione, in ospedale in day hospital o in consultori e ambulatori adeguatamente attrezzati. L’applicazionedelle linee di indirizzo ministeriali, però, dipende in parte dalle Regioni. Mentre Toscana, Lazio ed Emilia Romagna vanno nella direzione indicata dal ministero, il Piemonte e l’Umbria si oppongono e in tutte le altre vince l’immobilismo.
Sul limite per la somministrazione, che viene spostato dalla settima alla nona settimana dall’inizio della gestazione, c’è poco da derogare. In questo caso la determina dell’Agenzia italiana (n. 865/2020) è “cogente”, come si dice in gergo tecnico. A partire dal 12 agosto, data di pubblicazione della determina in Gazzetta Ufficiale, i due principi utilizzati nella procedura di aborto farmacologico, Myfeginepiù un “analogo delle prostaglandine”, possono essere utilizzati fino al 63° giorno di età gestazionale (si calcola a partire dal primo giorno dell’ultima mestruazione e nei casi dubbi la datazione della gravidanza si fa con l’ecografia).
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