Oggi a Varsavia la presenza di patologie fetali anche gravi e incompatibili con la vita non è un motivo valido per interrompere una gravidanza. Marta Lempart, ideatrice del movimento Women’s Strike, spiega al fatto.it che la stampa allineata con il governo lavora di continuo per gettare discredito sulle militanti più in vista. Ma la protesta continua e oggi 29 gennaio il Paese si prepara alla mobilitazione nazionale
In Polonia le proteste di piazza non si sono mai fermate da quando, il 22 ottobre scorso, il Tribunale costituzionale ha emesso una sentenza che riduce ulteriormente l’accesso all’aborto legale nel paese che, insieme a Malta, ha la legge sull’aborto più restrittiva d’Europa. La sentenza è entrata in vigore il 27 gennaio e la sera stessa la popolazione si è riversata nelle strade di 51 città polacche. Una nuova mobilitazione nazionale è stata lanciata per venerdì 29 gennaio, a 100 giorni dall’inizio delle proteste. La formulazione della sentenza rifiuta il benessere della donna come motivo valido per l’interruzione della gravidanza anche in caso di patologie fetali gravi e incompatibili con la vita e apre la strada a potenziali ulteriori divieti di aborto in caso di stupro e incesto. I medici che forniscono assistenza alle donne rischiano 3 anni di prigione. “L’annuncio è il risultato del deliberato smantellamento dello stato di diritto in Polonia”, si legge in una nota stampa della IPPF, Federazione internazionale per la pianificazione familiare. “Il presidente e tre dei giudici del Tribunale costituzionale sono stati nominati illegalmente e politicamente per dirigere le decisioni di questo organo cruciale. La Polonia si trova in un limbo giuridico. L’annuncio non può essere considerato un atto legale”. E solleva il tema delle responsabilità dell’Unione europea: “Il popolo polacco ha bisogno che l’Ue aiuti a sostenere lo stato di diritto e la democrazia nel suo paese”.
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