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Ospedali

Ospedale Sanpierdarena di Genova, intervista a Luigi Canepa

Intervista a Luigi Canepa, ginecologo all’Ospedale Villa Scassi Sanpierdarena a Genova e coordinatore regionale Cgil medici.

E. C. In qualità di coordinatore ha la visuale sullo stato di attuazione della legge 194 nella sua Regione?

L. C. Non tutti gli ospedali della Regione garantiscono aimè l’adempimento della legge 194.
Su Genova la garantiscono solo 3 strutture: l’Ospedale Evangelico, noi di Sanpierdarena che ne facciamo molte, l’Ospedale di San Martino. Sono ospedali pubblici.
Non lo fanno due strutture importanti, Gaslini e Galliera. Il Galliera da circa un anno e mezzo ha tolto anche il centro fecondazione assistita trasferendolo all’Evangelico. Gasilini è un IRCCS [Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico], mentre il Galliera è convenzionato, a gestione della curia genovese.

Negli ospedali dove il servizio è garantito il primario è obiettore?

Sì i primari sono tutti obiettori negli ospedali dove il servizio è garantito.

Quindi non è detto che un primario obiettore sia un primario che non fa rispettare la legge?

Assolutamente no.

In altre città liguri com’è la situazione?

So che sia Savona, S. Remo e La Spezia, Imperia, Lavagna, viene garantito il servizio di Ivg. Quindi in tutte le province.

Come fa una donna a sapere che al Galliera non trova l’Ivg e invece in un altro ospedale sì?

Se una donna afferisce ad un ospedale obiettore, la donna viene a saperlo in quel momento e di solito viene o indirizzata a noi direttamente o mandata in consultorio, dove poi c’è personale che dà tutte le informazioni alla paziente in modo che possa esigere i suoi diritti.

La rete dei consultori funziona?

Sì, come informazione certamente, viene fatta subito la certificazione.

E’ il consultorio che prenota la visita di accettazione?

Il consultorio fa il primo approccio, la certificazione, dà informazioni e indirizzi, ma non prenota direttamente la visita in Ospedale.

Avete un’idea delle liste d’attesa?

Noi al Sanpierdarena non abbiamo liste d’attesa. Devo dire che siamo un po’ un’isola felice. Facciamo un accesso a settimana, e in questo accesso non abbiamo limitazioni. Le pazienti arrivano per le 9.30 e quante ce ne sono le vediamo tutte.

Non avete il problema dei posti letto?

C’è da dire che noi facciamo una cosa che altri non fanno. Noi mettiamo l’urgenza sull’aborto farmacologico. Lei sa che la legge 194 prevede i 7 giorni di ripensamento, dopodiché si può espletare l’interruzione di gravidanza. A meno che – lo dice la legge stessa – se il termine sta scandendo, se nel caso la donna non avesse più possibilità di esigere la legge 194, a quel punto puoi soprassedere facendo un certificato d’urgenza ed eliminare i 7 giorni, l’importante è che sia documentato. Noi, per la proprietà transitiva, facciamo questa procedura anche per l’aborto farmacologico, in quanto le donne oltre la settima settimana non potrebbero ricorrere all’aborto farmacologico. La legge è molto punitiva nei confronti della donna, e noi cerchiamo di mitigarla. Se la donna arriva da noi a 6 settimane e due giorni, noi mettiamo il certificato d’urgenza e in questo modo non priviamo la donna di poter fare la scelta dell’aborto farmacologico. Noi diamo la pillola per l’aborto farmacologico anche di sabato e di domenica o nelle feste comandate.

In Day Hospital? In Lombardia le linee guida prevedono il ricovero di tre giorni, ma vi è la pratica del far firmare l’uscita, sotto responsabilità della donna.

Allora è un ragionamento molto più esteso che dobbiamo fare. E’ come la legge 40 sulla fecondazione assistita, che nel corso degli anni è stata demolita dalle sentenze nei tribunali. Qui viene dato un regolamento restrittivo come punizione per la donna che decide di abortire. Noi cerchiamo di trovare un escamotage. Alla signora facciamo firmare la cartella e poi ritorna dopo 24 ore per la seconda somministrazione.

Sulla possibilità di accesso alla Ru486 lei ha l’impressione che le donne si passino parola?

All’inizio no, dovevamo dare maggiori informazioni. Oggi le donne sono abbastanza già edotte. E’ vero sì che ci sono ancora delle donne che arrivano in pronto soccorso per avere preso delle pillole abortificanti.

Le riconoscete perché ne riconoscete i sintomi o perché loro lo dichiarano?

Alcune volte perché riconosciamo i sintomi, altre perché queste pillole se le mettono in vagina e rimangono le tracce.

Più o meno ha un’idea della quantità numerica di questi aborti procurati “in proprio”?

Donne che arrivano a noi per avere assunto pillole abortificanti saranno 5-10 nel corso di un anno. Incidono molto poco se pensa che tra le chirurgiche e le farmacologiche facciamo circa 600-650 interruzioni di gravidanza.

Sono italiane, straniere?

Tutte straniere.

Avete anche una mediatrice culturale?

Sì però dobbiamo saperlo per tempo. Difficile avere la mediatrice sempre per tutte le etnie. Noi diamo informazioni in diverse lingue, poi se vediamo che la donna non capisce abbiamo la possibilità di chiamare la mediatrice culturale.

Con la certificazione dell’urgenza avete potuto aumentare il ricorso all’aborto farmacologico?

Sì noi oggi possiamo dire che più del 60% degli aborti che facciamo sono ormai farmacologici, con grande vantaggio della donna. Tenga presente che anche noi obiettori somministriamo la pillola lo stesso. Anche se la donna viene di sabato e domenica, gliela garantiamo comunque.

Questa adesione alla responsabilità di garantire comunque il servizio IVG è stata costruita nel tempo, viene da fattori particolari? …

Sì, è stata costruita nel tempo, effettivamente. Per noi è importante dare assistenza alle gravidanze, ma anche garantire il rispetto della 194.

Vediamo più da vicino la situazione tra obiettori e non obiettori. Quanti siete, tra ginecologi e ginecologhe?

Siamo 10 ginecologi di cui 4 non obiettori. Anche chi è obiettore però somministra l’aborto farmacologico.

Siete donne, uomini? Divisione per sesso tra i non obiettori?

Su 10 ginecologi siamo 7 uomini e 3 donne. Delle tre donne ce n’è 1 non obiettrice.

Età dei non obiettori?

Va dai 35 fino ai 60.

Quindi non c’è un problema di pensionamento dei non obiettori

No per noi non c’è questo problema.

Diceva che anche gli obiettori somministrano le pillole per l’aborto formacologico. Anche l’accoglienza è gestita da entrambi?

Sì, ovviamente la legge lo prevede. L’accettazione è fatta anche dagli obiettori. Ma comunque noi garantiamo sempre la presenza di un non obiettore al momento dell’accettazione.

Lei è obiettore o non obiettore?

Io sono obiettore. Ma le ripeto, c’è un clima di collaborazione tra tutti quanti noi, e devo dire che sia gli obiettori che i non obiettori fanno lavoro di squadra in modo tale da dare un servizio alla paziente, tanto è vero che le pazienti non si accorgono di chi è obiettore e chi non lo è, siamo interscambiabili.

Quindi non c’è un disagio sui medici che decidono di non fare obiezione perché il lavoro è organizzato in un certo modo

Il lavoro è organizzato e non ci sono problemi.

Secondo lei questo modello è esportabile, quali sono le sue caratteristiche?

Sarebbe esportabile, ma dipende dalla buona volontà del singolo soggetto e del primario. Al di là dei buoni intendimenti, se non fai sì che le parole vengano coniugate in un rapporto reale con l’utenza, con le donne, e non crei un ambiente favorevole all’interno della tua struttura, certo che poi si creano le fazioni tra guelfi e ghibellini.

E’ sempre l’annoso problema della legge 194. L’ho affrontato molte volte e mi sono reso conto che dipende moltissimo dall’ambiente di lavoro. Sono modelli difficilmente e facilmente esportabili nel contempo. Ad esempio questa modalità dell’estensione dell’urgenza sarebbe una cosa utile e però ci rendiamo conto che siamo gli unici a farla. Molti ci criticano. Alcuni dicono che non siamo perfettamente in linea legale, noi non siamo d’accordo. Lì c’è una carenza del legislatore, che poi ricade sulla testa degli operatori e della gente. Il ricovero di 3 giorni non sta né in cielo né in terra e ci spinge a mediare, per non togliere alla paziente una possibilità che rientra nei suoi diritti. Il legislatore doveva fare in modo che non fossero i medici ad interpretare.

Il legislatore avrebbe dovuto prevedere un arco di tempo maggiore di sette settimane per la somministrazione del farmaco?

Sì, e poi togliere l’obbligatorietà del ricovero di 3 giorni.

In qualche modo vi siete organizzati per fare questa richiesta al legislatore?

A livello nazionale l’abbiamo denunciato più volte. Ma prima con il governo Berlusconi, ora con Renzi, non abbiamo mai avuto risposta. Anche perché, detto fuori dai denti, sono argomenti che non interessano a nessuno. La legge 40 non è stata toccata dal parlamento, ma l’hanno demolita le sentenze. Questo è imperdonabile.

Quando parla di legislazione lei si riferisce al governo, oppure pensa che ci siano spazi di intervento a livello regionale?

A livello regionale si potrebbe intervenire sull’obbligo di ricovero.

In regione ci sono interi ospedali che non garantiscono questo servizio, che sia l’intera struttura a fare obiezione di coscienza va contro la legge nazionale

Questo è un problema che nel corso degli anni ho sempre affrontato con risultati zero.  E’ il problema degli h gestiti dal clero, che prendono fondi pubblici ma poi non garantiscono l’assistenza a 360 gradi. Non riesco a capire per quale motivo ci siano strutture ospedaliere che fanno servizio pubblico e che senza fondi pubblici chiuderebbero.

In che modo ha affrontato questo problema?

Avevo fatto anche delle lettere, dei comunicati stampa, per esempio quando il presidente dell’ente Galliera e anche del Gaslini si era tolto la fecondazione assistita e l’ha data poi all’Evangelico. Questo a mio parere è un atto intollerabile. Non siamo uno Stato laico, parliamoci chiaro, e questo si espande a tutti i nostri atti, più importanti e meno importanti, ci sono cose che non si possono toccare, come la mamma. Questo è uguale.

Ha detto che è obiettore, e lo è per motivi …

Per un po’ di tempo sono stato non obiettore. Poi devo dire che …  non ce l’ho più … fatta. Però quando decisi di fare obiezione, cercai di andare alla radice del problema. Cioè come si fa a ridurre il numero di interruzioni di gravidanza? A mio parere bisogna alzare il livello culturale e di informazione alla gioventù. Quindi presi contatto con i direttori didattici per fare corsi di educazione alla sessualità nelle scuole terze medie. Credo che l’anello sia proprio questo. L’interruzione di gravidanza certamente non si potrà mai eliminare, però si potrà ridurre alzando il livello culturale. Quindi parlare di sistemi contraccettivi, dove possono essere prescritti, con che margini di rischio. Tant’è vero che adesso abbiamo di nuovo un innalzamento delle IVG sulle popolazioni migratorie, perché non riusciamo  trasferire il nostro livello culturale a popolazioni che sono un po’ in ritardo su questo.

Al San Carlo di Milano viene inserita la IUD (spirale) il giorno stesso dell’intervento e a spese dell’H? Questo accade da voi?

No. Noi non abbiamo la disponibilità della IUD gratuita neanche sui consultori. Purtroppo la spending review colpisce in maniera indiscriminata. Lo vediamo tutti i giorni.

Se dovessimo riassumere le proposte che lei farebbe per garantire non solo questo servizio, ma in generale i diritti nel campo della salute riproduttiva?…

Intanto che il legislatore abbia visione laica e non sia ostativo sulla legge. Che le strutture che fanno interruzione di gravidanza siano valutate, valorizzate e incentivate. Noi si trova sempre che una struttura ha fatto tot parti, ma non diciamo mai quanti aborti.
Il marcatore per qualificare la qualità di una struttura ospedaliera è quanti parti fa, invece io credo che dovrebbe essere anche quante interruzioni di gravidanza fa. In quanto quell’ospedale dà alle donne la possibilità di esercitare il loro diritto, con anche la possibilità di incrementare i fondi.

Quali sono i modi per valorizzare le strutture che garantiscono l’IVG?

Intanto dare personale adeguato. Ormai tutte le strutture sono sotto organico. Anche noi lo siamo, ma diamo un servizio sull’IVG molto migliore di altri. Questo dovrebbe essere un marcatore di qualità, invece i marcatori di qualità sulle IVG non esistono.

Mi aiuti a fare un confronto con un settore in cui il marcatore di qualità è rilevato

Avere più di 600 parti all’anno è un marcatore di qualità. Che è giusto. Ma perché no invece rilevare anche il numero di interruzioni? Perché, ce ne vergogniamo? Noi guardiamo sempre agli obiettori, ma poi è il legislatore in primis a promuovere la cultura dell’obiezione, sei bravo se fai tot numero di parti, ma non sei bravo se fai tot di gravidanze.

Lei normalmente sentirà dire quello è un buon reparto perché lì fanno 1500 parti, se uno dicesse che fa 700 aborti verrebbe visto male, non è questione di merito, sempre perché non siamo in uno stato laico, con una cultura clerico-fascista che non ci siamo ancora tolti di dosso. Da noi non si devono dire questi numeri.

Voi invece li dite?

Noi sì. Ma è un dato che non se lo fila nessuno.

Ai punti per garantire la salute riproduttiva della donna?

La prevenzione primaria, cioè dare un innalzamento culturale sull’argomento, a partire dalla scuola. E’ imprescindibile arrivare alla radice, alla fonte del problema. Mi viene da pensare a tutte quelle donne, molte, che subiscono un’ingerenza pesante della famiglia e dell’uomo.

Quindi quando parliamo di acculturamento parliamo di comportamenti che devono essere assorbiti da parte di donne e di uomini in modo diverso.

Noi abbiamo molto problemi con il mondo musulmano, ma non solo, che ha una visione restrittiva della donna. Quasi tutte le culture non hanno una visione liberatoria della donna.

E’ un problema di misoginia profonda

Profonda e certe volte anche molto grave. Le donne che arrivano avendo preso la pillola abortificante sono costrette dai mariti. Molte donne che arrivano a fare l’aborto dicono che sono costrette dai mariti o dai fidanzati. Viene da pensare che abbiamo fallito. D’altra parte se la rivoluzione culturale non è permanente, rischia di involvere, è questo il problema. Inoltre in sanità come nelle scuole non si possono fare le nozze coi fichi secchi. Ormai abbiamo dato la sanità ai ragionieri.

Direi che abbiamo inquadrato il tema dell’Ivg nella cultura in cui viviamo.

Secondo me è un marcatore non secondario per quanto riguarda la condizione di un popolo e di una società.

Informazioni su EC

Documentalista, giornalista, antropologa, web content editor. Argomenti: diritto alla salute e salute riproduttiva, contrasto alla violenza di genere, studi di genere, cittadinanza attiva Instagram: @Eleonora_Cir

Discussione

2 pensieri su “Ospedale Sanpierdarena di Genova, intervista a Luigi Canepa

  1. Anche noi a Reggio Emilia (ASMN) accettiamo l’urgenza per garantire l’accesso all’IVG farmacologica. Per evitare di essere accusati di non lasciare alla donna il tempo di riflettere ci portiamo poi il più possibile a ridosso del termine dei 49 giorni, ma non la neghiamo mai se richiesta entro quei termini. Purtroppo non la domenica e i festivi …. ma siccome i festivi doppi sono pochi in genere riusciamo a “inforcare” sabato/lunedì.
    Abbiamo circa il 40% di farmacologiche.
    Su indicazione della nostra Regione lo pratichiamo in Day Hospital. La Regione Emilia Romagna si è pronnciata in merito, quindi direi che esiste la possibilità ….
    Noi mettiamo lo IUD in corso di IVG, ma al momento solo se ce la portano le donne …. e non è così facile convincere i Colleghi a inserirla.
    Purtroppo non posso dire che nel mio ospedale ci sia la stesssa armonia fra tutti gli obiettori e i “non” sul piano dell’assistenza.
    Noi abbiamo 3 primari: 1 obiettore (molto collaborante) e due non obiettori.

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    Pubblicato da Angela Venturini | 17 aprile 2015, 15:09
  2. Devo dire che leggere quest’intervista mi ha veramente risollevato il morale rispetto alla desolante situazione italiana in campo di obiezione di coscienza. Complimenti a Luigi e complimenti a voi che tenete questo sito.

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    Pubblicato da Erikari | 15 giugno 2015, 20:10

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