Dopo che la Corte suprema Usa ha cancellato il diritto all’aborto, anche in Europasi è riaperto il dibattito sulle poche tutele per una conquista che è tutt’altro che acquisita. In Italia, dove il tasso di obiettori di coscienza tra i medici rimane alto, si guarda con attenzione all’attuazione delle linee di indirizzo ministeriali per l’aborto farmacologico in day hospital o in consultori e ambulatori adeguatamente attrezzati. E il quadro è tutt’altro che incoraggiante: sono passati due anni dalle linee di indirizzo del ministero della Salute che ha fatto fare un passo avanti verso la de-ospedalizzazione della pratica, ma il livello di applicazione varia da Regione a Regione. E rimangono grandi difformità, tra ostacoli politici e scarsi incentivi a livello nazionale.
L’ultima rivelazione ufficiale che abbiamo a disposizione è quella della Relazione annuale del ministero della Salute, consegnata al Parlamento nelle scorse settimane (in ritardo di quattro mesi). Ma la fotografia che offre è già vecchia e poco dettagliata. Innanzitutto si basa su dati del 2020, ovvero lo stesso anno di diffusione delle linee di indirizzo: la procedura farmacologica, si legge, è stata utilizzata nel 31,9% dei casi di interruzione volontaria di gravidanza. Ma la percentuale cambia enormemente se ci si sposta sul territorio nazionale: si va dall’1,9% di utilizzo nel Molise a oltre il 50% in Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna e Basilicata. Nella Relazione è scritto anche che nel 2021 l’Istituto superiore di sanità ha effettuato una rilevazione sui provvedimenti presi dalle Regioni per applicare le linee di indirizzo ministeriali: Lazio e Toscana dichiaravano che era iniziata la somministrazione dei farmaci abortivi in strutture extra-ospedaliere; Piemonte, Umbria, Sardegna, Marche ne stavano discutendo; in Emilia-Romagna e nella P.A. di Bolzano era prevista la somministrazione in consultorio e in Sicilia negli ambulatori pubblici collegati all’ospedale. Valle d’Aosta, Lombardia, Trento, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia e Calabria non prevedevano la somministrazione dei farmaci abortivi in strutture extra-ospedaliere nel 2021. Nulla si dice del perché ci sia questa disomogeneità, né del fatto che la situazione è ampiamente variabile anche dentro i confini regionali. Per questo abbiamo voluto indagare, aprendo con oggi una serie di finestre sulle Regioni, a cominciare da Liguria, Emilia Romagna e Toscana. E per cercare di sopperire alla grande mancanza di informazioni, chiediamo a chiunque voglia condividere la sua esperienza di scrivete a redazioneweb@ilfattoquotidiano.it: è facile nella tua Regione accedere all’aborto farmacologico? Quali difficoltà hai riscontrato? Aspettiamo le vostre segnalazioni.
Leggi tutto l’articolo su www.ilfattoquotidiano.it (10 luglio 2022)
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