La petizione “Aborto: le ostetriche per le donne” è stata sottoscritta anche da ginecologhe e ginecologi e ha suscitato un acceso dibattito tra favorevoli e contrarie. L’ordine: “La Federazione da tempo sta perseguendo l’obiettivo della revisione dell’attuale percorso formativo che consenta alle ostetriche di rispondere con competenza anche a nuovi bisogni assistenziali della donna”
In Italia la figura dell’ostetrica, o dell’ostetrico, è associata perlopiù all’immaginario di una gravidanza fisiologica che si conclude nel parto. Ma di recente una petizione intitolata “Aborto: le ostetriche per le donne” chiede che anche in Italia, come in altri Paesi europei quali Francia e Inghilterra, anche le ostetriche possano praticare l’interruzione volontaria di gravidanza, in particolare con metodo farmacologico. Una richiesta sottoscritta, oltre che da ostetriche, anche da altre figure professionali incluse molte tra ginecologi e ginecologhe, che ha suscitato un acceso dibattito tra favorevoli e contrarie.
I vantaggi dell’affidare anche alle ostetriche l’assistenza all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) sarebbero molti. “In parte riguardano l’aumento di possibilità per le donne di accedere all’IVG, possibilità che la pandemia ha ulteriormente ristretto aggiungendosi a note criticità di sistema pre-esistenti che ne fanno un problema di salute pubblica”, dice Gabriella Pacini, ostetrica tra le promotrici della petizione: “C’è una forte riduzione dei servizi a cui le donne possono rivolgersi per un aborto volontario, soprattutto nelle città medio-piccole. Le donne sono spesso costrette a spostarsi e sempre più spesso veniamo a sapere di casi in cui vanno all’estero per aver superato le 12 settimane entro cui è consentito l’aborto volontario. Sull’aborto oltre le 12 settimane la situazione è ancora più grave”.
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