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Ospedali, Politiche

Aborto terapeutico, non solo obiezione. Poca formazione e donne costrette a passaparola: gli ostacoli dopo i 90 giorni

Secondo la legge 194, l’interruzione di gravidanza nel secondo trimestre è possibile solo per ragioni sanitarie. Quindi quando la presenza di patologie possa causare la morte della mamma o provocare danni alla salute psichica della donna. La valutazione spetta quindi ai medici. Tante le criticità per chi ha bisogno di un intervento in breve tempo: dalla mancanza di reti strutturate e specialisti che non hanno fatto un percorso adeguato per assisterle

Aborto dopo i 90 giorni, chi decide e a quali condizioni – Claudia Mattalucci, antropologa dell’Università Milano-Bicocca che ha approfondito l’argomento, definisce l’aborto di secondo trimestre come “un’esperienza molto difficile e dolorosa. Si tratta di gravidanze desiderate, in molti casi a lungo posticipate, su cui c’è un forte investimento affettivo. L’aborto di secondo trimestre viene descritto come un evento traumatico dal punto di vista emotivo che produce risposte importanti e intense reazioni di dolore che sono ancora rintracciabili alcuni anni dopo”. 

Se mancano le reti, l’unica strada è il passaparola – L’organizzazione dei servizi rimane uno dei fattori di fondamentale importanza. Secondo Elsa Viora, presidente di Aogoi (Associazione ostetrici ginecologi ospedalieri italiani), la soluzione sarebbe nella disposizione di reti strutturate a livello regionale con uno o due centri di riferimento per ogni Regione, dove convogliare gli esiti di diagnosi prenatali infauste. “Chi si occupa di diagnostica prenatale deve fornire tutto ciò che ci sta intorno. La diagnosi è il primo passo di un percorso molto complesso e deve essere valutata insieme ad altri specialisti per capire la patologia del feto a breve e lungo termine. Non possiamo avere, ad esempio, esperti in cardiopatie fetali in tutti gli ospedali. Per questo servono équipe multidisciplinari. Il numero dei malformati è intorno al 2%, quindi non è possibile, né avrebbe senso, avere esperti in tutti gli ospedali. Solo con una rete organizzata è possibile offrire a tutte le donne ciò a cui hanno diritto”, spiega Viora.

Di reti strutturate per ora (tranne in Piemonte) non c’è traccia – Il passaparola è la regola. I commenti di chi prova ad applicare la legge 194 sono tutti dello stesso tenore: “Sia le ostetriche che i ginecologi e le ginecologhe del territorio sanno chi sono e dove sono i pochi non obiettori ed inviano lì”, osserva Marina Toschi, di Agite (Associazione ginecologi territoriali). “In Lazio si pratica l’aborto dopo i 90 giorni solo a Roma. A Rieti, Viterbo, Frosinone e Latina non c’è nessuno. Vi è passaparola con cellulare o sul sito di Laiga”, spiega Silvana Agatone,ginecologa della Libera Associazione Italiana Ginecologi per l’applicazione della legge 194/78. 

Leggi tutto l’articolo su ilfattoquotidiano.it (2 dicembre 2018)

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Informazioni su EC

Giornalista pubblicista, bibliotecaria, web content editor, video-maker. Argomenti: diritto alla salute e salute riproduttiva, contrasto alla violenza di genere, studi di genere, cittadinanza attiva Instagram: @Eleonora_Cir

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