Emilio Arisi è uno di quei ginecologi che hanno conosciuto l’orrore dell’aborto clandestino ai tempi del ferro da calza. La legge 194 del 1978 sull’interruzione gravidanza l’ha vista nascere ed è stato tra i primi ad applicarla in un contesto a dir poco ostativo. Nel corso della sua vita lavorativa ha ricoperto incarichi dirigenziali nei reparti di ginecologia e ostetricia, dove ha cercato di correggere alcune consuetudini organizzative non rispettose delle evidenze scientifiche e, dunque, della salute delle donne. Vive in Trentino e lavora fra Trento e Carpi (Modena).
Tra gli incarichi che ha ricoperto in enti e associazioni ne segnaliamo uno, la presidenza nazionale dell’UICEMP (www.uicemp.org), associazione di consultori privati federata alla IPFF (International Planned Parenthood Federation) (www.ippf.org), la più grande organizzazione non governativa mondiale dedicata ai problemi della salute riproduttiva. Della IPPF è stato per molti anni nel consiglio mondiale ed in quello europeo. Alte informazioni sono sul suo sito.
La conversazione con Emilio Arisi ha toccato questi punti:
- Le responsabilità delle regioni nell’organizzazione del servizio di Ivg
- La situazione in Trentino (Trento-Rovereto in particolare)
- Se sia meglio oppure no concentrare il servizio IVG nei grandi ospedali
- Il ruolo del primario nella promozione dell’aborto farmacologico
- L’inerzia organizzativa come freno alla pratica della anestesia locale, migliore rispetto alla anestesia generale
- L’aborto nelle case di cura private convenzionate
- La non legittimità dell’obiezione di coscienza
Modificare la legge per abolire l’obiezione di coscienza
Arisi è tra chi afferma che bisognerebbe togliere la possibilità di fare obiezione di coscienza a chi fa ginecologia in ospedale
Arisi: Non ho nessun dubbio che l’obiezione di coscienza sull’aborto andrebbe abolita. L’ho detto più volte. Dal 1978 un medico sa perfettamente quali sono le implicazioni del suo mestiere. Se vuoi fare il ginecologo sai che la legge italiana dice che la donna può usufruire dell’interruzione volontaria di gravidanza. Se non vuoi fare aborti, non fare il ginecologo. Come se uno facesse il militare di carriera e poi decidesse di non prendere mai più umano fucile e volesse a tutti i costi lavorare in ufficio. Molti mi criticano quando dico queste cose. Ma le dico da sempre.
Quando è stata applicata la legge all’inizio facevo tutto da solo, dall’anestesista al barelliere. Il primario della chirurgia mi vedeva dal fondo del corridoio e tornava indietro per non incontrarmi, il primario del laboratorio idem. Poi dopo qualche mese un’ostetrica, che pure era come me iscritta al partito comunista, ha cominciato ad aiutarmi… ma dopo mesi. Insomma, la coscienza è sempre molto elastica, ci metti dentro quello che vuoi.
Disomogeneità del servizio e responsabilità regionale
Arisi: Per descrivere la situazione dell’IVG in Italia ci vorrebbe un lavoro enorme. Oggi in Italia ci sono 21 sistemi sanitari e sono poche le regioni che hanno emesso linee guida sull’IVG. Ogni regione si è organizzata diversamente, anzi ogni struttura si organizza secondo una serie di elementi. Il coordinamento del servizio dovrebbe avvenire con direttive a livello regionale.
La situazione in Trentino
La concentrazione delle IVG nei grandi ospedali non è problematica e, nonostante la percentuale di obiettori, i non obiettori riescono a coprire la domanda senza grande disagio.
Arisi: Nella provincia di Trento-Rovereto (mentre non conosco la situazione di Bolzano) ci sono sostanzialmente solo due ospedali che coprono una provincia di 750.000 abitanti e fanno il 90% della attività ostetrico-ginecologica in generale.
Sulla carta, in tutta la provincia ci sono 7 ospedali però sono veramente piccoli. In uno per esempio l’ostetricia è stata abolita qualche anno fa perché faceva 120 parti all’anno ed era rischioso. In questo caso non c’è nessuna perdita che negli ospedali più piccoli non si facciano IVG.
Le obiezioni di coscienza sono tantissime perché interessano il 70% dei medici. Nell’ospedale più grande ci sono 5 non obiettori su 16. Tuttavia questo non penalizza la possibilità di usufruire del servizio da parte delle donne perché quelli che se ne fanno carico coprono tutta la domanda. In Trentino ci sono poco più di un migliaio di interruzione di gravidanze l’anno, un numero sostenibile per i medici che garantiscono il servizio.
IVG: meglio nel piccolo o grande ospedale?
La regione dovrebbe raccogliere i dati e valutare in quale ospedale accentrare il servizio facendo una media per garantire sia la vicinanza delle donne all’ospedale che la numerosità degli interventi. Chi dirige le Asl dovrebbe ricevere premi per la buona gestione dell’IVG, come avviene per altre casistiche.
Arisi: Un piccolo ospedale rischia di accogliere solo due donne al mese. Per esempio in Trentino abbiamo degli ospedali di montagna che servono una piccola popolazione e magari, proprio perché si conoscono tutti, le donne preferiscono andare altrove. Una cosa è andare in una clinica qualunque di Milano un’altra è andare nell’ospedale di riferimento del tuo paesello dove ti hanno visto nascere. A quel punto sarebbe più razionale che l’IVG, in quell’ospedale, non si faccia affatto.
La quantità condiziona la qualità. Se fai un’operazione una volta al mese non è la stessa cosa che se lo fai almeno una volta alla settimana, che ritengo che sia il minimo per mantenere una certa manualità.
Sta alla Regione dare delle direttive a tutte le singole aziende sanitarie locali, ed ogni singola azienda sanitaria locale deve fare in modo che il servizio avvenga in modo adeguato alla salute della donna.
La sede in cui avviene il coordinamento tra le varie aziende sanitarie dovrebbe essere la regione e in particolare l’assessorato. Uno degli elementi potrebbe essere incentivare i direttori generali delle aziende con il meccanismo di premialità che già esiste.
L’interruzione volontaria di gravidanza è un’operazione semplice ma non banale
Secondo alcuni l’IVG richiede bassa specializzazione e quindi bisognerebbe localizzarla nel piccolo ospedale e non nel grande ospedale-azienda dove bisognerebbe invece concentrarsi su competenze che riguardano punte più avanzate della medicina.
Arisi: Secondo me non c’è gesto da banalizzare mai, nemmeno andare in bicicletta. C’era un famosissimo professore di chirurgia del secolo scorso, citato più volte nei libri. Gli chiedevano “qual è l’intervento più facile che lei ha esercitato nella sua vita?” E il professore rispondeva “l’appendicectomia”, cioè asportare l’appendice. E successivamente gli chiedevano “qual è l’intervento più difficile che lei ha fatto in vita sua”. “L’appendicectomia, perdinci!” Perché non c’è nessuna operazione da cui non possa nascere una improvvisa serie di problematiche e di complicazioni. Un medico deve saper fare tutto sia nel piccolo che nel grande.
Aborto farmacologico
Il ruolo del primario per nella proposta dell’aborto farmacologico
Arisi: Nella regione, l’aborto medico per il momento si fa solo a Trento e in bassa percentuale. I medici non lo propongono, da un lato. Inoltre il primario attuale non è interessato alla tematica. C’è una dottoressa che se ne interessa ma fa anche tante altre cose. Inoltre l’aborto medico implica una serie di approcci progressivi in giorni diversi e successivi. Semplicemente richiede una logica organizzativa diversa, quindi una disponibilità di chi lavora nei reparti a cambiare passo.
L’anestesia locale sarebbe meglio, ma l’inerzia organizzativa la impedisce
L’anestesia locale sarebbe meglio sia per l’organizzazione, perché richiede meno personale, sia per la salute delle donne, perché comporta meno complicazioni. Tuttavia si continua a proporre l’anestesia generale
Arisi: A Trento l’IVG si fa soltanto in anestesia generale, purtroppo. In tutti gli anni da primario non sono riuscito a modificare questa pratica, perché c’erano una serie di pressioni organizzative che derivavano dal fatto che lì prima si faceva così e si è continuato a fare così. C’è una mentalità della struttura nel suo complesso, di cui tenere conto. Quando ero primario a Modena, si facevano metà in anestesia generale e metà in locale. La struttura era più piccola ed è stato possibile imporlo. Invece a Trento anche i miei collaboratori che non erano obiettori di coscienza si lasciavano blandire dall’anestesista che diceva “tanto l’anestesia leggera, è veloce, è più complicato fare l’anestesia locale”.
È un po’ più difficile però i dati della letteratura dicono in modo molto chiaro che ci sono meno complicazioni. Abbiamo fatto anche uno studio italiano con l’Istituto superiore di sanità su 10-12.000 casi che avevo seguito con i miei collaboratori: le complicazioni erano minori da tutti i punti di vista. Inoltre hai bisogno di meno personale perché non è necessario l’anestesista a meno che non ci siano urgenze (quindi meglio che ci sia) e non hai bisogno di barelle e barellieri.
All’ospedale di Cles gli anestesisti erano tutti obiettori e questa era una buona scusa per non dare il servizio. Io gli ho spiegato di leggersi il manuale di ostetricia e ginecologia dove è descritto per bene come si fa l’anestesia locale. Non è difficile, basta che se lo leggano. La coscienza è qualcosa di molto elastico, come dicevamo.
Aborto in struttura privata convenzionata
L’aborto nelle strutture private convenzionate è previsto dalla legge 194 ma non molto diffuso. Come sempre, è una questione politica.
Arisi: È l’unica struttura privata che a Trento fa l’interruzione di gravidanza, da sempre e da molto prima che c’andassi io, nel ’93. Credo che, addirittura, per molti anni se ne facevano di più lì che in ospedale. Probabilmente perché in Trentino una volta comandava la Democrazia cristiana che non vedeva volentieri gli aborti volontari in ospedale e aveva facilitato la convenzione dell’azienda sanitaria con questa casa di cura.
E.C.
Crediti immagine: Jackie Ferrara (American, born 1929). M155 4 Core Pyramid, 1975. Masonite, 4 3/4 x 13 7/8 x 12 3/8 in. (12.1 x 35.2 x 31.4 cm). Brooklyn Museum, Anonymous gift, 88.164.2. © Jackie Ferrara https://www.brooklynmuseum.org/opencollection/eascfa/related/other_women_artists/index/30
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