Come afferma in questa intervista Michele Grandolfo, epidemiologo, già dirigente di ricerca all’Istituto superiore di sanità, l’approccio del Ministero della salute al problema dell’obiezione di coscienza non è realistico, perché la “congruità tra risorsa disponibile e risorsa necessaria deve essere valutata a livello locale” e non su una media astratta come ha fatto il Ministero della salute ignorando il fatto che il personale che garantisce le cure non è diffuso in modo omogeneo.
I dati raccolti dal PD evidenziano anche un altro fatto. Non è detto che alla totalità di obiettori in un ospedale corrisponda la sospensione del servizio di interruzione volontaria di gravidanza in quella struttura. Prendiamo ad esempio il presidio di Calcinate che, con il 100% di obiettori, ha fatto 284 Ivg nell’anno. Evidentemente si è fatto ricorso al personale esterno, i cosiddetti “gettonisti”.
Attraverso contratti stipulati ad hoc con personale esterno alla struttura si garantisce il diritto dei medici, previsto dalla legge 194, di non fare interruzioni volontarie di gravidanza e allo stesso tempo si garantisce alle donne di esercitare il proprio diritto di scelta, sempre come previsto dalla legge. Sembrerebbe tutto a posto, dunque. Senonché, il ricorso al gettonista ha diversi effetti collaterali. Li elenchiamo e non per ordine di importanza: costa (250mila euro all’anno, secondo questo articolo di Repubblica); non copre gli aborti del secondo trimestre, che possono essere fatti solo da personale strutturato; non dà alle donne la possibilità di accedere all’aborto farmacologico, la cui procedura copre l’arco di tre giorni; infine, non garantisce alle pazienti la continuità assistenziale e fissa un tetto al numero di sedute, riducendo così la qualità del servizio. A sottolineare queste criticità è Antonio Spreafico, che abbiamo intervistato in occasione dell’emergenza IVG all’Ospedale Bassini di Milano.
Qual è dunque la richiesta politica che il PD sostiene attraverso la presentazione di questi dati? Sara Valmaggi, consigliera regionale PD e vicepresidente del Consiglio regionale: “Il ricorso al gettonista è una misura di emergenza, una misura tampone. Il gettonista non è inserito nella struttura ospedaliera. Comporta inoltre un impegno economico non indifferente per l’amministrazione. Ci vogliono strategie efficaci. Una è il ricorso alla mobilità del personale. Si tratta in questo caso di personale interno alle strutture ospedaliere. L’altra consiste nella modalità delle nuove assunzioni, là dove siano possibili nelle more della legge. Cioè bisogna trovare modalità per assumere personale non obiettore.”
“Organizzare la mobilità del personale” non significa, però, aumentare il numero di operatori e operatrici destinati al servizio di IVG, ma solo “spalmarli” su più strutture. Immaginiamo quale potrebbe essere la reazione dei medici e degli altri professionisti non obiettori, che già nella situazione attuale hanno sulle spalle un carico di lavoro maggiore dei non obiettori a pari stipendio.
Una strada più equa sembra quella destinata ad aumentare il numero dei non obiettori. Quali sono dunque le modalità di assunzione di personale “in quota” non obiettori? Valmaggi non lo dice: “Questo non sta a noi stabilirlo, siamo all’opposizione”.
Già nel 2012 il Pd aveva raccolto i dati per presidio in Lombardia e aveva fatto un’interrogazione cui aveva risposto l’allora assessore alla sanità Luciano Bresciani. L’assessore riconosceva l’esistenza del problema, ma ribadiva che l’obiezione di coscienza è prevista dalla legge 194 del 1978 e che quindi lui “non poteva farci niente” (lo leggiamo nel resoconto stenografico della seduta di Commissione) e che il problema andava risolto a livello di governo nazionale. Viceversa, il Ministero della salute, proprio nella Relazione sulla applicazione della legge 194 dell’anno scorso, riconduceva la responsabilità della sospensione del servizio alle Regioni.
C’è un rimbalzo continuo di responsabilità. Come se ne esce? “La risposta di Bresciani è stata capziosa. – dice Valmaggi. – La responsabilità dell’applicazione della legge spetta alla Regione. Spetta alla Direzione generale sanità”.
Anche per un partito che sta all’opposizione sarebbe utile, credo, avere una strategia per concretizzare la propria proposta. Perciò insisto e le chiedo quali sono gli strumenti dell’opposizione per far sì che il governo regionale applichi la legge nella parte in cui essa garantisce il diritto di scelta alle donne. “Noi abbiamo solo il potere di denunciare il problema e porlo all’attenzione pubblica”, dice Valmaggi.
Le chiedo se non vi sia modo di procedere per vie legali. A questo punto si apre uno scenario interessante: “Ci sono state delle associazioni che si sono mosse contro la Regione Lombardia, in altri campi, e hanno vinto. Mi riferisco all’azione di SOS Infertilità contro il mancato rimborso per la fecondazione eterologa”.
A ottobre 2015, infatti, la decisione della Regione Lombardia di porre a carico degli assistiti il costo delle prestazioni per la fecondazioni assistite di tipo eterologo veniva dichiarata illegittima dal Tar della Lombardia. Potrebbe essere una via.
Pubblicato su Zeroviolenza
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