Questa mattina sono andata al consultorio pubblico, nella città di Milano, per una visita ginecologica. Appena entrata, mi sono trovata davanti a questa scena.
Una donna chiedeva – ma è più corretto dire che implorava – di essere aiutata. Il medico di base aveva rifiutato di rilasciare il documento che attesta lo stato di gravidanza della donna e la sua volontà di interromperla. Documento chiamato “certificato IVG” con termini impropri, dal momento che la legge recita: «ll medico di fiducia, di fronte alla richiesta della donna di interrompere la gravidanza sulla base delle circostanze di cui all’articolo 4, le rilascia copia di un documento, firmato anche dalla donna, attestante lo stato di gravidanza e l’avvenuta richiesta».
La segretaria del consultorio stava argomentando con foga che prima di tre giorni non aveva posto.
La signora aveva le lacrime agli occhi per la disperazione: 43 anni, tre figli, operaia. 11 settimane di gravidanza calcolando l’ultima mestruazione, quindi al limite dei termini previsti dalla legge 194 (12 settimane). Maledicendosi per essersi messa in quella situazione, aveva il viso stravolto dall’ansia. L’amica che l’accompagnava continuava a chiedere “ma cosa possiamo fare, dove possiamo andare, questo è un consultorio o no?” Da parte sua la segretaria protestava che non poteva farci niente, che nessuno poteva obbligare un medico obiettore a fare un certificato.
Ho preso fermamente posizione dicendo che se non si fosse trovata una soluzione per fare in mattinata “il certificato”, avrei accompagnato la signora dai carabinieri per una denuncia per interruzione di servizio pubblico. Che né la struttura né il medico curante poteva negare alla signora ciò che era suo diritto per legge.
A quel punto sono stata chiamata in ambulatorio per la visita che avevo prenotato. Quando sono uscita al termine della visita, la soluzione si era trovata. La signora era in sala d’attesa e qualcuno l’avrebbe ricevuta entro poco, come di fatto è accaduto.
Per completare il quadro, bisogna descrivere le condizioni di lavoro della segretaria: con il telefono che suona ogni tre minuti, a gestire la prima soglia di accoglienza, tra donne straniere che a volte masticano appena l’italiano e bambini accampati nell’ufficio, sembra sempre sull’orlo di un tracollo nervoso per il carico di tensione cui è sottoposta, ma alla fine riconquista ogni volta la calma e soprattutto la cortesia. Che non è poco.
Mi ha spiegato che il problema non sono solo le ginecologhe obiettrici ma il colloquio obbligatorio con psicologa o assistente sociale. Se quella è impegnata, è dura dare risposta in giornata a una richiesta di “certificazione” IVG. Ricordiamoci che, dopo gli ultimi tagli, in Lombardia tutti gli invii dei tribunali dei minorenni sono stati riversati sul servizio psicologico dei consultori pubblici.
Un ulteriore elemento di criticità: l’ecografia obbligatoria. Da nessuna parte è scritto che la donna debba presentarsi in ospedale per l’accettazione fornita di ecografia. Invece molti ospedali la pretendono. A quale scopo, dal momento che il percorso in ospedale, una volta presa in carico la paziente, prevede comunque che le si faccia un’ecografia per datare la gravidanza? Ripenso alla signora che ho incontrato oggi e al suo viso stravolto. La sera stessa, dopo una giornata di lavoro e con il pensiero di come sistemare i figli, questa signora dovrà recarsi in un pronto soccorso, pagare un esame e attendere il suo turno per chissà quante ore prima di ricevere il risultato di un’ecografia che comunque il giorno dopo le verrà rifatta.
Crediti immagine: Opera di Miriam Piccicuti
esposta per la mostra
ALT – ilcorpoèmio – Testimonianze delle artiste nell’anno delle Signore 2008
a cura di Donatella Airoldi e Mavi Ferrando
con la collaborazione di: Silvia Cibaldi, Gretel Fehr, Nadia Magnabosco, Marilde Magni, Antonella Prota Giurleo
http://www.women.it/oltreluna/altilcorpoemio/ilcorpoemionopqr.htm
L’ha ribloggato su Racconti del corpoe ha commentato:
Prima o poi qualcuno dovrà rendere conto di tutto questo.
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Purtroppo quello che è successo al consultorio non è un eccezione, mi capitano spesso utenti per ivg che per i più svariati motivi, sopratutto per la tempistica, non riescono ad accedere al servizio.
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Sento tutte queste storie e rimango sempre più allibita. Anzitutto mi chiedo perché non ci sia un servizio garantito in ogni asl con medici non obbiettori volti a dare solo ed esclusivamente questo tipo di servizio, compresi i medici di famiglia, a cui una donna può rivolgersi, invece di rischiare di ritrovarsi in un girone dell’inferno? E soprattutto perché, se la legge è un diritto e anche un dovere, deve esistere l’obiezione?
Anche io mi sono sottoposta un anno fa ad una ivg e per mia gran fortuna ho trovato personale medico prontissimo ad aiutarmi senza il minimo giudizio, né la più piccola domanda. Dovrebbero istituire un albo pubblico (non credo ci sia, correggetemi se dico una fesseria) con i nomi dei medici non obbiettori. Così giusto per andare sul sicuro e non ritrovarsi nelle condizioni di questa donna.
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Io mi chiedo anche come si faccia, in età fertile, ad aspettare l’undicesima settimana per fare una IVG. Ovviamente concordo col fatto che il servizio debba essere garantito, ma essendo nel pubblico i tempi sono quelli che sono. Perché aspettare all’ultimo?
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La risposta a Stefania chiama in causa la cultura e la pratica della prevenzione, per la quale appunto erano nati consultori e che si è diffusa solo parzialmente. La politica, dallo Stato alle Regioni, non investe sulla salute riproduttiva. Leggi come il POMI, progetto obiettivo materno infantile, sono disattese. La legge sui consultori è completamente stravolta o da leggi regionali (come nel caso della Lombardia) o da carenza di fondi.
Poi bisogna considerare le condizioni socio-culturali e il reddito. Il ricorso alla contraccezione aumenta con il titolo di studio. La capacità e la possibilità di prendersi cura della propria salute e di autodeterminarsi nella sessualità e nelle scelte riproduttive diminuiscono nelle fasce sociali più deboli e con meno potere contrattuale nella relazione con l’uomo e nella società – donne con basso titolo di studio, immigrate, minorenni. In generale (non ho qui la fonte ma la recupero facilmente) i poveri si ammalano più dei ricchi e muoiono prima.
E infine, la variabilità soggettiva. Basta un ciclo mestruale non regolare, ed ecco che la possibilità di arrivare all’undicesima settimana non è più così residuale. Un periodo di forte stress, tensioni in famiglia e problemi di lavoro possono portare ad allentare il controllo. Ed ecco l’incidente di percorso.
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