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Politiche

Pia Locatelli su aborto in Europa e in Italia. L’obiezione di coscienza è un diritto ma non se è strumentale

Pia Locatelli, deputata socialista iscritta al gruppo misto, è stata parlamentare europea tra il 2009 e il 2014 e tra le sue specificità rientrano la politica estera e le politiche di genere. Con lei abbiamo parlato dei segnali che arrivano dall’Europa in materia di diritti sessuali e riproduttivi e delle responsabilità politiche nella mancata applicazione della legge 194 in Italia.

Qualche giorno prima del voto a Strasburgo sul “Rapporto Tarabella“, Pia Locatelli ha partecipato con altre parlamentari alla conferenza stampa convocata dalle associazioni Laiga, Vita di donna, Agite, e dalla rivista Noi donne (sintesi degli interventi). In questa occasione ha definito il contesto in cui si colloca il Rapporto Tarabella in rapporto con le politiche della Commissione europea.

E. C. Che cos’è il rapporto della Commissione europea sull’uguaglianza di genere e perché lei afferma che è stato “declassato”?

P. L. Nel 2000 è stata lanciata la strategia di Lisbona, che aveva l’obiettivo di portare il tasso di occupazione maschile all’80% e quello femminile al 70%. Nel 2003 la Commissione europea si accorge che il tasso di occupazione femminile non si muove e decide di indagarne i motivi. Per analizzare la situazione femminile bisogna considerare tanti fattori. Dal 2003 la Commissione europea decide di fare una relazione sulla situazione sulla condizione femminile considerando vari parametri e l’ha fatto anno dopo anno. Ma negli ultimi anni questo rapporto, che aveva una sua autonomia, è diventato una sorta di allegato annuale alla Carta dei diritti delle donne, cioè ha perso di rango. Segue così lo stesso andamento di quella che trovo essere una minore attenzione e presenza nell’agenda europea delle tematiche di genere. Quando veniva presentato, intorno all’8 di marzo, eravamo tutte lì ad aspettare questa relazione, era un appuntamento importante, per 7 e 8 anni lo è stato, dal 2010 in avanti ha perso questa importanza.

Anche perché la composizione del parlamento europeo è diventata diversa, con presenza di forze non solo euroscettiche ma addirittura eurofobiche, e queste forze non solo hanno preclusione verso le tematiche femminili, ma alcune di loro secondo me hanno anche una carica di misoginia.

Quest’anno il parlamentare europeo Marc Tarabella, che fa parte della Commissione dei diritti delle donne, ha preparato un rapporto di iniziativa su questi argomenti commentando il rapporto della Commissione europea. Dentro questo rapporto di iniziativa di Tarabella si affrontano anche, in tre paragrafi diversi, il tema dei diritti sessuali e riproduttivi. Quello di Tarabella è dunque un commento e valutazione sul lavoro fatto dalla Commissione europea.

Lei ha potuto verificare nel tempo se ci sia un aggravamento in Europa sullo stato dei diritti sessuali e riproduttivi?

Le variabili che vengono prese in considerazione dalla Commissione europea non assorbono quelle relative a questi diritti. E però la situazione in Europa, così come in Italia, diventa sempre più difficile, perché appunto c’è un’ondata conservatrice complessiva e quando ci sono queste ondate conservatrici i diritti delle donne e in generale i diritti e la salute sessuale delle donne fanno dei passi indietro, regolarmente e puntualmente. Però il rapporto di Marc Tarabella è stato approvato e questo ha segnato un passo avanti rispetto allo scorso anno, quando un altro rapporto, quello di Edite Estrela, non ha nemmeno avuto la possibilità di essere votato. Quindi da questo punto di vista c’è stato un passo avanti.

Il rapporto Tarabella è stato votato ma con un emendamento che ribadisce che la salute sessuale e riproduttiva rimane pertinenza dei singoli Stati.

Le politiche che si riferiscono a questi temi sono di competenza nazionale, questo rientra nei trattati, e perché diventino di competenza europea ci vuole un cambiamento dei trattati. Ma questo non impediva che si esprimesse una sorta di auspicio e impegno che non sarebbero stati vincolanti, ma un’espressione della volontà politica ha comunque un senso. Insomma, c’è stato un emendamento che ribadiva che questi temi rimangono di competenza nazionale, un modo per dire l’Europa non mette le mani in queste vicende.

Quindi un passo avanti a metà?

Come posso dire, un non fare un passo avanti.

Può essere stato utile per fare il punto sull’aria che tira in Europa su questa materia?

Ma soprattutto, il primo dei tre paragrafi dice: la legalizzazione dell’aborto non comporta un aumento del ricorso all’aborto, cioè le donne non hanno piacere ad abortire, però quando decidono di farlo, ciò avviene in presenza di una legge o in contrasto con una legge. Quindi è un capitolo importante contro l’aborto clandestino, soprattutto per le donne più povere e meno istruite che hanno meno mezzi per abortire in condizioni di sicurezza. Che poi è l’origine della legge 194. In cui si evidenzia tutta la necessità della prevenzione, ma se una donna decide di abortire, e l’ultima parola è la sua, che lo faccia in una struttura pubblica dove non corre rischi.

L’impressione è che quando c’è una battaglia per conquistare un diritto l’attenzione sia alta e quindi sia più facile per l’opinione pubblica farsi sentire, mentre laddove il diritto è definito da una legge viene meno l’attenzione mediatica ed è più facile che ci sia uno svuotamento dall’interno, come sta accadendo in Italia per la legge 194.

Sì in particolare su questo tema dell’aborto, perché stiamo assistendo da anni all’aumento dell’obiezione di coscienza, che è un diritto che difendo per principio. Ma il problema è: obiezione davvero di coscienza o obiezione strumentale? Perché non è possibile che, con l’esclusione del Trentino, le percentuali più alte che arrivano anche all’80% sono tutte nel sud. Ed è possibile che l’80% dei ginecologi abbia questo problema di coscienza? Mi sembra un dato statistio non credibile. Quali sono le ragioni vere di percentuali così alte? E comunque la legge prevede che in tutte le strutture ospedaliere questo servizio sia garantito. Se non ricordo male, in Italia ci sono 630 centri ospedalieri in cui la pratica dell’aborto si puà fare, nella pratica solo nel 64% è garantita. Questo implica che le donne si spostino da una città e da una regione all’altra e questa è una violazione di un diritto.

Visto che il legislatore non può andare a frugare nelle coscienze dei medici, quali strumenti può mettere in atto per garantire l’effettiva fruizione del servizio?

Significa mettere le mani al portafoglio e pagare extra dei ginecologi che effettuano questo servizio. Ci sono state situazioni in cui persone che avevano fatto obiezione di coscienza, nel momento in cui è stato garantito un gettone smettevano di essere obiettori … questo mi è stato raccontato.

A livello legislativo la risposta è ancora mancante.

Non si può mica legiferare sulla coscienza delle persone. Vale il diritto all’obiezione. Si può legiferare sul fatto che il servizio vada garantito. Poi sulle modalità in cui rispondere a questa prescrizione legislativa la responsabilità è delle organizzazioni ospedaliere. La legge non può mica entrare nel merito. Però ci sono ad esempio delle circolari, come è stato nella Regione Lazio, dove sono state date indicazioni per cui anche chi è obiettore di coscienza deve ad esempio rilasciare la certificazione. Fare un certificato non vuol mica dire andare in contrasto con la propria coscienza. Questo è boicottaggio di un servizio.

Ma perché io contribuente devo pagare due volte, cioè un dipendente pubblico per un lavoro che non fa, e un altro medico, il gettonista, per fare quel lavoro. Perché come contribuente devo pagare due medici, quello non obiettore e quello obiettore?

Io non mi sentirei mai di impedire l’obiezione di coscienza, perché rispetto le convinzioni di una persona, ma non rispetto l’obiezione strumentale. È un principio troppo importante per me, per rinunciarci. Consapevole che quelli che strumentalmente invocano la coscienza sono dei mascalzoni.

C’è chi afferma che la legge 194 dovrebbe essere cambiata, perché un conto era quando è stata approvata, e c’erano allora medici già in servizio. Ma adesso chi sceglie di fare ginecologia in ospedale sa che l’aborto è un intervento che si troverà a dover fare.

Vero, ma prima voglio ricordare un altro fatto. Ci sono ginecologi non obiettori che a un certo punto si trovano a fare solo aborti e fanno obiezione perché non ne possono più. Hanno la mia comprensione umana ma spero che non lo facciano se no la situazione diventa ancora peggio. Detto questo, abbiamo discusso a lungo, allora, se in un ospedale pubblico chi lavorava in un ospedale pubblico non potesse fare obiezione. Io ho dei grossi dubbi. Mentre capisco la ratio di garantire il servizio, vedo anche il rischio di fare una discriminazione sulla base dei propri convincimenti etici.

Lo so che questa mia posizione confligge con un’altra prescrizione legislativa che dice che il servizio va garantito, però l’idea che un medico o una medica possa essere discriminata cioè non possa accedere ad un posto a causa dei propri convincimenti etici, è una cosa che ho difficoltà ad accettare, proprio dal punto di vista ideologico. E non sono capace di risolvere il problema, lo ammetto.

In questo modo il problema continua a non venire risolto.

E. C. Ad esempio in Lombardia sono state fatte diverse interrogazioni sul problema dell’obiezione, le ultime dalla consigliera Sara Valmaggi, e l’allora assessore alla salute (Mantovani) rispose “noi non ci possiamo fare niente”, perché il diritto all’obiezione è garantito. Quindi c’è un continuo palleggio di responsabilità. La Regione dice che “noi non possiamo farci niente”, d’altra parte il livello statale, come ha dimostrato l’ultima Relazione sull’applicazione della legge 194 della ministra Lorenzin, ribadisce che è un compito delle Regioni garantire l’applicazione della legge.

P. L. La legge è nazionale, l’organizzazione spetta alle Regioni. Quelle che non sono collaborative dicono che non possono farci niente, si attivano poco per trovare le soluzioni concrete. Quindi ha ragione nel dire che si rimpallano le responsabilità, perché se uno vuole non vuole garantire il servizio fa una sorta di applicazione asettica della legge.

E quindi?

Quando ci sono di mezzo le donne e in particolare i diritti sessuali e riproduttivi… È un tema dove si esercita di più la strumentalizzazione e la pressione ideologica, perché i diritti delle donne non sono ancora stati digeriti da tanti.

E quindi, lei che ha una lunga competenza di politica istituzionale si è fatta un’idea di quali siano gli strumenti per uscire da questo palleggio di responsabilità tra Stato e Regioni?

L’idea è di avere dei governi a livello nazionale e regionale che sono attenti ai diritti delle donne. Non c’è un altro modo.

Quindi dovremmo avere un Ministero della salute che …

Ma non solo il Ministero della salute. Tutti i ministeri. Anche il Ministero del lavoro, che dovrebbe avere attenzione ai temi di conciliazione, di condivisione delle responsabilità tra madri e padri e allora si possono fare delle politiche che incentivano ad esempio i congedi di paternità. Ci vuole quello che abbiamo definito da Pechino in avanti il gender mainstreaming, cioè che tutte le politiche devono essere di genere per impattare sulla vita degli uomini e delle donne, e in fondo questo è il tema dell’educazione da zero anni in avanti.

Quindi per il momento mi sta dicendo che non abbiamo strumenti per intervenire sulla violazione della legge 194.

Non è che non ci sono. Se si vuole sì, si organizzi il servizio utilizzando anche lo strumento del gettone chiamando ginecologi da altri ospedali per garantirlo. Quando una donna  decide di abortire non lo fa mai a cuor leggero, quindi mi fa particolarmente rabbia questo atteggiamento ipocrita di chi si nascone dietro la difesa del principio dell’obiezione di coscienza per non garantire un servizio. Ma il boicottaggio può avvenire su qualsiasi legge, non solo sulla 194.

Adesso c’è in ballo la nomina del primario all’Ospedale San Camillo, dove le associazioni hanno denunciato il rischio di nomina di un primario confessionale …

In questo caso cosa si può fare? Si possono fare azioni di pressione, che le donne organizzino, ma anche gli uomini, una sorta di protesta preventiva. Non conosco le persone, ma con un primario obiettore rischio che il servizio venga sospeso c’è.

Sarebbe difficile da sostenere per Zingaretti, che da un lato ha varato un decreto per mettere un limite all’obiezione di coscienza e però d’altra parte avrebbe una nomina di un primario confessionale da parte dell’Asl, che a sua volta dipende dalla Regione.

Certo. Io non conosco le caratteristiche specifiche e politiche della situazione, ma se uno ha più titoli e non ce n’è un altro con altrettanti titoli credo che per Zingaretti sarebbe molto difficile e imbarazzante … però, mi auguro che si trovi una soluzione.

Vorrei chiederle un’ultima cosa. In Italia tra le parlamentari c’è una lobby delle donne, un fronte trasversale su questo argomento?

Su alcune cose ci riusciamo, ma ancora poco. Forse perché non siamo state abituate, non siamo mai state così numerose. Con alcune lavoro bene, in particolare su alcuni temi lavoro bene con alcune donne, ad esempio Michela Marzano del Pd, Marisa Nicchi di Sel, Mara Carfagna di Forza Italia. Però a me manca una trasversalità numerosa.

Secondo lei su questo argomento dell’aborto in particolare è più difficile creare alleanze oppure no, è come altri argomenti?

Forse un pochino più delicato sì, ma non impossibile. Guardi, per esempio sulla necessità di avere una ministra delle pari opportunità io trovo più vicine donne di Sel e Forza Italia che non del Pd.

L’argomento dell’aborto è come l’ultima frontiera, perché va a toccare il nodo della sessualità

E però sono convinta che se dovesse esservi un attacco aperto, non sottile come l’obiezione di coscienza, io non ho dubbi che tutte le donne del Pd sarebbero in piazza.

È il fatto che l’attacco non sia diretto, a rendere difficile questa presa di posizione?

È difficile scendere in piazza per cancellare l’obiezione di coscienza. Come si fa ad andare in piazza per dire che l’obiezione di coscienza mette in difficoltà questo diritto? Bisognerebbe andare in piazza per dire no all’obiezione di coscienza strumentale, e il discorso diventa complesso. È un discorso difficile da articolare.

Informazioni su EC

Giornalista pubblicista, bibliotecaria, web content editor, video-maker. Argomenti: diritto alla salute e salute riproduttiva, contrasto alla violenza di genere, studi di genere, cittadinanza attiva Instagram: @Eleonora_Cir

Discussione

3 pensieri su “Pia Locatelli su aborto in Europa e in Italia. L’obiezione di coscienza è un diritto ma non se è strumentale

  1. si può prevedere legislativamente che un primario non possa essere obiettore?
    o quantomeno che eventuali gettoni di cui sopra siano a suo carico?
    come può essere primario se non è in grado lui stesso di eseguire tutte le incombenze che ricadono sul
    suo reparto?

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    Pubblicato da andrea soderi | 20 marzo 2015, 17:41
    • Infatti. Gireremo la tua domanda alle deputate

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      Pubblicato da Eleonora Cirant | 20 marzo 2015, 17:45
    • La risposta di Laura Puppato alla domanda di Andrea Soderi:
      “Opportuno se ne parli come le dicevo. Ora tocca il passo successivo, riuscire ad aprire l’argomento in senato. Tra le richieste vi può essere anche quella ( provocatoria ma non troppo) di considerare che un primario ovvero il massimo dirigente di reparto non possa risultare obiettore visto che questo significherebbe piuttosto automaticamente che l’intero reparto rischia di trovarsi con medici ” indirizzati” all’obiezione.
      Grazie. Laura”

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      Pubblicato da Eleonora Cirant | 24 marzo 2015, 15:22

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