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Testimonianze

Aborto volontario, una testimonianza. “La solitudine sociale è stata la cosa più brutta in questa esperienza”

Antonietta aveva 21 anni, quando è rimasta incinta e ha deciso di interrompere una gravidanza non desiderata. Era il 2004 e viveva a Roma.

Oggi racconta la sua esperienza e la successiva elaborazione. In questa intervista sono descritti i primi momenti in cui ha scoperto di essere rimasta incinta, con le azioni, i pensieri e le emozioni che hanno accompagnato la scelta di abortire. La presenza delle amiche e della madre, l’assenza del “fidanzato”, l’impatto con i servizi socio-sanitari. Gli eventi prima, durante e dopo l’intervento chirurgico.

Antonietta racconta di come l’esperienza di aborto sia stata elemento di svolta in un percorso di consapevolezza, sia della propria interiorità che del contesto storico e sociale. Attraverso questo episodio infatti ha incontrato, da un lato, la propria vulnerabilità e la propria fallibilità. Dall’altro ha collocato se stessa dentro una genealogia femminile, attraverso la conoscenza delle vicende storiche che hanno portato alla legalizzazione dell’aborto, negli anni Settanta.

Nel ragionare sul senso di colpa che ha permeato l’esperienza di aborto volontario, Antonietta mette in rilievo elementi generazionali, legati alle trasformazioni nell’ambito della sessualità, ed elementi di contesto, legati ad antichi retaggi culturali che stigmatizzano la scelta di una donna nell’interrompere una gravidanza non voluta. Dice: “ti sembrerà stupido o comunque strano, ma io mi sentivo in colpa perché non ero stata all’altezza della nostra emancipazione sessuale, non solo come donna ma proprio come generazione”. E poi: “è una cosa che non direi mai in un gruppo qualunque per non creare terra bruciata intorno, come se fosse qualcosa di sporco. Però è assurdo che sia un tabù”.

Il messaggio che Antonietta affida alla sua testimonianza: “di non sentirsi sola. Perché la solitudine sociale è stata la cosa più brutta che ho provato in questa esperienza“.

(D.) Quando ti sei accorta di essere incinta cos’è successo, sia dal punto di vista pratico che emotivo

R. Intanto non me l’aspettavo, non ci credevo, è stata proprio una doccia fredda. Io ero convinta  che mi stesse per venire il ciclo, nonostante che come tipo di esperienza me la fossi immaginata tante volte. Tante volte cioè avevo pensato “se mi dovesse succedere questo farei questo tipo di azioni e prenderei questo tipo di strada”. Però in realtà quando l’ho scoperto è stata un’emozione molto negativa, perché non era previsto.

 Come mai non te lo aspettavi, cosa è successo?

In realtà me lo sarei dovuta aspettare, perché c’era stato un problema di contraccezione, e poi un ho un ciclo molto irregolare. C’era stato un problema con il preservativo che avevo preso sottogamba.

 Che problema?

 Il preservativo che si era sfilato.

 In che senso l’hai presa sotto gamba, che cos’hai pensato?

Ho pensato “va bè tanto domani mi viene il ciclo”, però in realtà è stato anche un incrociare le dita, con il senno di poi. C’era anche paura di dover affrontare il discorso della pillola del giorno dopo, andarsela a cercare, farsela prescrivere. Anche la pigrizia rispetto a questa procedura. Lì per lì ho incrociato le dita.

Perché ti faceva paura questa procedura della pillola del giorno dopo?

Io in realtà non avevo esperienza diretta, però era successo qualche mese prima che una mia amica minorenne ne avesse bisogno e io me l’ero fatta prescrivere al suo posto. Quindi in realtà l’avevo chiesta anche se non l’avevo presa. Mi è poi capitato di prenderla una volta, dopo, e la sensazione è stata questa – non so quanto sia filtrata dai miei sentimenti – però la sensazione è stata quella di una grande difficoltà. Che poi è quello che si legge sui giornali. Io mi sono sentita, in un caso almeno, più messa sotto esame che aiutata e ascoltata.

Quando ti sei accorta di essere rimasta incinta?

Dalla notte in cui si è sfilato il preservativo a quando me ne sono accorta sono passati 15 giorni e io proprio non mi ero minimamente posta il problema. Aspettavo. Finché un giorno una mia amica mi ha messo il dubbio. “Non è meglio se fai un test?”

Rimandavi il test di gravidanza per il fatto del tuo ciclo irregolare?

Sì, il ciclo mi sarebbe dovuto arrivare dopo uno o due giorni dal fatto e invece non era arrivato. Ma siccome ho un ciclo molto ballerino, a volte salta anche un mese, non mi ero posta il problema. Probabilmente cercavo di rimandare.

Quando ho fatto il test … l’immagine delle tre lineette rosa non la scorderò mai più. E’ stato come una specie di profezia che si avvera, non so come spiegare. Allo stesso tempo “non è possibile” e insieme  “ecco lo sapevo”. E poi ne ho rifatto immediatamente un altro, ma il risultato era lo stesso.

Quando hai scoperto di essere incinta, cos’hai pensato e cos’hai fatto?

Ho pensato immediatamente “OK adesso mi attivo per abortire”. E’ stato così, non ci ho nemmeno riflettuto. Ti dicevo che mi ero sempre immaginata “se mi succedesse che cosa farei?” e sempre mi ero detta “se mi succedesse abortirei”. Anche perché a 20 anni assolutamente non avrei voluto una maternità. Quindi il pensiero è stato unico e la decisione è stata immediata. Forse anche troppo. Al momento ho pensato soltanto “come mi organizzo per”. C’era la mia amica che casualmente aveva appuntamento della ginecologa nel pomeriggio e quindi nel pomeriggio ci siamo andate tutte insieme, io con le mie tre più care amiche. Anche perché non avevo ancora mai fatto una visita dalla ginecologa.

Era una ginecologa del consultorio o privata?

Privata, però poi la fortuna ha voluto che fosse anche una ginecologa di consultorio, legato ad un ospedale in cui non c’era il problema degli obiettori di coscienza, il San Giacomo.

 Come mai non eri mai andata da una ginecologa prima?

Non lo so, ancora me lo sto chiedendo.

Come è avvenuta la tua formazione sulla contraccezione?

Io pensavo di sapere tutto. E’ stata anche fortuna perché ho avuto un’insegnante alle medie eccezionale, che ci faceva fare un sacco di incontri con il consultorio e che ci ha dato le prime informazioni sanitarie. Ci ha spiegato tutto, dalla fisiologia al dal funzionamento ai metodi contraccettivi. Poi parlavo e parlo tutt’ora molto con mia mamma. Quindi pensavo di essere già informata.

E questa ginecologa come è stata, come ti ha accolto?

E’ stata molto tranquilla. Mi ha detto “guarda se preferisci ne possiamo parlare direttamente al consultorio. Vieni il giorno tale, ti visitiamo lì, ne parliamo”. Io ci sono andata dopo qualche giorno. Però poi da qui in poi faccio difficoltà a scindere nel ricordo quello che era il mio stato d’animo nei confronti dell’avvenimento, che mi faceva vedere tutti ostili e chiusi nei miei confronti, da quella che era la reale situazione. Io avevo preso tutte le mie decisioni e non volevo che nessuno interferisse.

“Non volevo che nessuno interferisse”

Per me doveva essere qualcosa da sbrigare, anche nel senso di farlo velocemente e quindi non volevo starne a parlare, perché sarebbe stato doloroso. Volevo semplicemente farlo, togliermi il pensiero e ricominciare con la mia vita normale. Senza rendermi conto che comunque era una cosa che andava vissuta e sviscerata anche nel dolore. Lì per lì volevo solo farlo. Quindi quando sono andata al consultorio ero in un atteggiamento di chiusura, perché io pretendevo che mi si fissasse semplicemente un appuntamento. Il tentativo di dialogo non l’ho apprezzato in quel momento, infatti non ricordo nemmeno che cosa mi abbiano detto. Mi ricordo soltanto una cosa. Al secondo appuntamento sono andata con il mio fidanzato di allora ed è stato fatto entrare con me. Lui ha cominciato a fare delle domande inopportune, non ricordo cosa. La dottoressa non ha risposto a lui, ha guardato me e ha detto “se vuoi lui può anche aspettare fuori” e io ho detto “no, no”. Quindi lei è stata molto sensibile.

Sento come una nota di senso di colpa, per il fatto che in quel momento non avevi voglia di parlarne con nessuno

Sì, perché ho affrontato la cosa con durezza. In generale secondo me quando ti capita qualcosa di brutto non puoi rifiutarlo, ma devi imparare a conviverci e quindi devi viverlo. Io invece l’ho vissuto con atteggiamento di chiusura, non vedevo l’ora che finisse. Poi me lo sono portato dietro per anni, perché in quel momento non ho voluto andare fino in fondo. Penso che questo sia il tema principale nel mio rapporto con quell’episodio. Tanto che poi mi ha influenzato tantissimo emotivamente. L’incontro con la storia del femminismo è passato tutto quanto attraverso le emozioni che io ho provato leggendo di come è nata la legge sull’aborto. E’ stato come riviverlo in prospettiva. La mia riflessione su quell’episodio è passata attraverso la storia della legalizzazione dell’aborto. Quando ho conosciuto tutto ciò che c’era intorno, ho rivisto anche quello che avevo vissuto con occhi diversi e mi sono accorta del fatto, ad esempio, che potessi usufruire di esami a un prezzo ridotto perché c’era quella legge e invece io lì per lì non lo sapevo. Se si potesse tornare indietro io farei tutto un altro percorso e avrei tutt’altre cose da dire agli operatori, alle persone che ho incontrato, a me stessa … invece lì non avevo gli strumenti per farlo. Al di là degli strumenti di conoscenza del mio corpo, non conoscevo neanche il contesto legislativo, quindi c’era un forte ignoranza che mi condizionava nell’esperienza.

Cosa avresti detto agli operatori e a te stessa, se avessi avuto allora la consapevolezza di oggi?

Con le persone che si sono dimostrate disponibili, mi sarei aperta e avrei lasciato che mi aiutassero, cosa che invece non ho fatto. Però ho incontrato anche persone un po’ sbrigative e che mi hanno fatto sentire in colpa e mi hanno guardato dall’alto in basso. In quel momento ho reagito con atteggiamento di sfida, del tipo mi giro dall’altra parte, non ti guardo nemmeno perché non hai il diritto di interferire nella mia vita. Invece adesso parlerei, direi “senti ma sai di che cosa stiamo parlando, tu sai chi sono, che cosa è che guida la mia scelta?” Credo che affronterei un dialogo con tutta serenità.

Chi sono queste persone che ti hanno guardato dall’alto in basso e che parole ti hanno detto?

La donna che mi ha fatto l’ecografia, era uno studio privato, ed era un’ecografia pelvica. Mi ha chiesto per che cos’era è poi è stata glaciale, non ha detto niente dall’inizio alla fine della seduta, neanche una parola. Poi ricordo un altro episodio. Ho fatto tutte le analisi nelle strutture private, perché nelle strutture pubbliche i tempi di attesa erano lunghissimi. Ero all’ospedale di Tor Vergata e c’era l’operatrice che prendeva gli appuntamenti stava proprio davanti a me. Mi ha detto che la prima disponibilità per ritirare i risultati degli esami del sangue era dopo tre settimane, erano anche esami molto costosi, e io le spiegai che era troppo tardi perché avevo l’aborto dopo due settimane. Quindi lei dice “ah ok!”, prende il telefono e comincia a parlarne con un altro ufficio ad alta voce, davanti a una sala d’aspetto piena. Io mi arrabbiai. Lì però è stata anche la prima volta che ho sentito parlare della 194, perché questa qui urlando al telefono diceva “eh lo so! La 194? Ahh, la 194!” e lo scrisse sulla ricetta, 194 cerchiato. Dopo cinque anni sui libri ho scoperto che cos’era quel numero!

A te stessa cos’avresti detto allora, con la consapevolezza di oggi

A me stessa avrei detto: “non devi per forza essere sempre forte”. Ma io questo ce l’ho come vizio caratteriale, nei momenti di difficoltà tengo tutto e sostengo anche gli altri. Quando il problema riguarda te stessa è anche importante farsi sostenere, questo l’ho imparato. Forse l’ho imparato proprio in quella situazione, perché non mi sono concessa nemmeno un pianto. Solo uno, la mattina in cui l’ho scoperto e poi basta, mai più. Questo è stato ingiusto nei miei confronti. Ricordo me stessa mentre cammino per strada con la testa protesa in avanti, incupita, che dovevo sfondare questa situazione per uscirne il prima possibile. Avrei fatto la stessa scelta, ma almeno l’avrei elaborata. La cicatrice rimane. Non è che il fatto che ci sia la cicatrice significa che tornando indietro una farebbe scelte diverse. Io rifarei esattamente le stesse cose, però fa male. Adesso lo ammetto, allora non lo avrei mai ammesso.

Chi ti è stato vicino? Le tue amiche, tua madre, il tuo ragazzo…

Le mie amiche e mia madre. Tre amiche, che sono poi state le uniche a cui l’ho detto. L’ho detto anche a mia sorella, però era più piccola. Partecipava emotivamente – anzi lei era più triste di me, io facevo finta di non esserlo. Poi c’era mia madre. A lei ne ho parlato dopo essere stata in consultorio, perché era un momento molto difficile per la mia famiglia, che era stata colpita da malattie gravi e io non volevo dare un pensiero.

Il tuo ragazzo?

A modo suo c’è stato, però in realtà non c’è stato. Stavamo insieme da pochissimo tempo, quindi ci conoscevamo anche poco, da un paio di mesi. Era una persona molto chiusa. Non era una bella presenza nella mia vita. Durante il mese di attesa prima dell’intervento c’era e non c’era, e quando c’era era come un’ombra. Devi immaginare una personalità umbratile, negativa. Era il suo carattere.
Dopo un paio di mesi dall’intervento ci siamo lasciati. Io gli ho detto “guarda è inutile che stiamo insieme perché non ci amiamo, non c’è passione tra di noi, non andiamo d’accordo, siamo una coppia senza senso” e lui, una persona freddissima, totalmente centrato su se stesso, mi disse “no dai non puoi dirmi questo, abbiamo appena perso un bambino”. Mi disse questa cosa tremenda, bruttissima nei miei confronti, ma mi faceva ridere perché non aveva mai manifestato segni di interesse. Evidentemente qualcosina anche lui dentro ce l’aveva.

Hai mai percepito che lui si sentisse responsabile in qualche modo?

No?

Che avesse in qualche modo la consapevolezza che a te stava capitando qualcosa di importante?

Nemmeno.

Anche per le tue amiche mancava un po’ il contesto, dico nel merito della legge sull’aborto?

Non c’è stata neanche da parte loro curiosità o consapevolezza. Tutto dato per scontato e anche con forse la presunzione di dire c’è questa possibilità, che è anche un diritto, e basta.

Con loro ti è capitato di parlare delle tue emozioni?

Sì e no. Nel senso, loro c’erano da tutti i punti di vista, sia dal punto di vista pratico, però anche dal punto di vista emotivo. Secondo me loro erano anche più sconvolte di me. Io non mi lasciavo andare ma loro erano molto preoccupate, tristi, in subbuglio. Perché poi questa cosa che era capitata a me metteva in discussione tante cose anche loro.

Dopo quanto tempo hai riaffrontato la cosa?

In realtà ho cominciato subito. Fin dal giorno dopo ho sentito che qualcosa era cambiato. Ero diventata adulta. Avevo sempre pensato, fino a quel momento, di poter … avevo uno slancio vitale, una forza che forse è propria dell’adolescenza, “sono imbattibile, indistruttibile”. Non te lo riesco a spiegare meglio. Forse un senso di onnipotenza. Poi questa cosa mi ha fatto scoprire la realtà. Ho scoperto cioè la mia vulnerabilità e da questa scoperta è venuta [l’occasione] di diventare una persona adulta. Probabilmente tra dieci anni avrò una visione ancora diversa!

Come è avvenuta la rielaborazione di questa esperienza?

Le circostanze che mi hanno portato a una rielaborazione sono state casuali e sono dovute alla tesi di laurea. Dovevo laurearmi in storia contemporanea, la specialistica, e ho deciso di fare una tesi sugli anni Settanta. Da lì ho fatto la strada al contrario e ho potuto inquadrare meglio quello che mi era successo.

Cioè hai cominciato a studiare il periodo degli anni Settanta e hai incontrato lì le lotte per l’aborto? Puoi raccontare meglio questo passaggio?

Da un lato c’è stata la scoperta della legge, delle lotte per ottenerla e quindi anche della storia di questo diritto. Sono riuscita a inserire me in questa storia, e questa è stata già una grande conquista. Però in realtà c’è stata anche un’altra cosa. Attraverso i libri io ho potuto incontrare donne che avevano vissuto la mia esperienza. Perché poi da lì in avanti ho sempre guardato le altre donne chiedendomi “ma loro avranno abortito come me?” Io prima del femminismo avevo conosciuto soltanto un’altra ragazza che ha abortito e con cui c’è stato uno scambio. In realtà ci conoscevamo pochissimo, eravamo in Erasmus.

La scoperta del femminismo e il poterti collocare in una storia, che cosa ha comportato?

Intanto a vedere il senso di colpa che avevo, anche se inconsciamente, per avere fatto quella scelta. Senso di colpa più nei confronti della società che di me stessa. Era come se mi sentissi giudicata dagli altri, messa sotto accusa, sotto esame. Non ero in grado di vedere quelli che volevano aiutarmi perché io stessa mi sentivo sul banco degli imputati.

Conoscere la storia del femminismo mi ha aiutato anche a capire che questa scelta non solo l’avevano fatta tante altre donne prima di me, ma soprattutto le donne che avevano fatto questa scelta avevano avuto una missione nobile, che era stata quella di consentire ad altre persone come me di fare questa scelta senza rischiare la vita.

Quindi a un certo punto io ho cominciato a sentirmi orgogliosa della mia scelta, perché si collocava in quella tradizione. Quello forse è stato il passaggio in cui ho potuto dire “ok è stato un passaggio nella mia vita che mi ha formato”.

Ti sentivi giudicata o in colpa per che cosa, di fatto? Per “avere interrotto una vita”, come dicono alcuni, per irresponsabilità … riesci a definire questo senso di colpa?

Per avere interrotto una vita no, quello non è mai stata una colpa che mi sono sentita addosso. Per un sacco di tempo non ho mai neanche pensato che se avessi fatto una scelta diversa adesso avrei un bambino accanto, no. Per me quel bambino non esiste. Ti sembrerà stupido o comunque strano, ma io mi sentivo in colpa perché non ero stata all’altezza della nostra emancipazione sessuale, non solo come donna ma proprio come generazione. Noi, dico persone che allora avevamo vent’anni, ma penso che si possa estendere anche alle ventenni di adesso, pensavo di poter avere una sessualità libera, disinvolta, spensierata e invece quell’episodio faceva uscire le ombre di quel tipo di concezione. Errare è umano, figuriamoci, però per me ammetterlo in quel momento era difficile. Mi sentivo come una ragazzina giudicata dagli adulti che mi dicevano “lo vedi hai voluto giocare a fare cose da grande e non sei stata capace, hai voluto giocare con il sesso e questa è la punizione perché non sei stata in grado di tutelarti mentre invece pensavi di esserlo”.

Quindi diciamo che la tua elaborazione dell’aborto è passata non da un percorso psicologico ma politico

Sì. A un certo punto, poiché mi sentivo una tristezza addosso, ho anche fatto un colloquio con uno psicologo, una chiacchierata informale, e mi ha detto delle cose che non ho compreso subito, ma che in seguito ripensandoci ho pienamente condiviso. Mi disse due cose. “Guarda che questo episodio che ti è capitato semplicemente ti ha fatto diventare adulta”, mi ha fatto prendere coscienza di questa cosa. La seconda è stata “non puoi togliere da te il senso di colpa cattolico” e io gli ho detto “io non sono cattolica, non vado in chiesa” e lui “ma che c’entra, ti sto dicendo che tu vivi in un tipo di società che non puoi fare finta che non esista, cerca di capire che società è” e io lì per lì dissi “non sono d’accordo”, invece uscita da lì ho iniziato a pensarci e ho trovato che aveva ragione.

Cosa voleva dire lui e come tu l’hai pensato il “vivere in una società cattolica”

Lui voleva dire una società che ti influenza dal punto di vista morale. Secondo me vuol dire un società che non solo ti fa sentire in colpa se fai questa scelta ma che ti isola facendo in modo che non se ne parli. In questa forma di colpevolizzazione c’è una grande responsabilità politica e sociale.

Dopo questo episodio c’è stata una ricaduta immediata sulla tua sessualità oppure no?

Il grande cambiamento è stato negativo e c’è ancora, nel senso che io ancora adesso ho paura che possa accadere di nuova e quindi sono ossessiva nel controllo.

Hai cambiato metodo contraccettivo?

Per periodi intermittenti ho utilizzato la pillola, su suggerimento del medico di base. Su di me ha degli effetti pesantissimi, quindi non riesco mai a portarla avanti per più di qualche mese. Altri metodi no.

A livello di servizi socio-sanitari, ospedale e consultorio, come ti sei trovata?

E’ stato gestito benissimo. Ho fatto la visita al consultorio, loro mi hanno aperto l’agenda davanti agli occhi e mi hanno preso appuntamento in ospedale dopo due settimane.  C’erano due persone, la ginecologa e un’assistenza sociale. Qualche giorno prima dell’intervento mi hanno telefonato per spostare l’appuntamento, perché c’era una donna con un’urgenza e invece io non lo ero. Gli esami li ho fatti tutti privatamente, un po’ perché ero disinformata un po’ perché c’era stato l’episodio dell’operatrice lì in ospedale che mi aveva un po’ disturbato. Poi ero stata in consultorio due o tre volte perché mi avevano dato il foglio con le indicazioni per il ricovero.

L’intervento è durato soltanto un giorno. C’è stata una sorta di anestesia, o forse piuttosto un tranquillante, con un piccolo raschiamento, e mi sono svegliata subito dopo. Credo che fosse una procedura standard. Eravamo cinque o sei donne e … in realtà è stato tutto molto veloce. Mi ricordo le facce tristi di tutte le donne che avevo intorno.

Poi mi ricordo che mentre mi davano questa sostanza che mi avrebbe fatto addormentare, con aereosol, avevo intorno tre donne che parlavano del tempo (mi fece un po’ effetto questa cosa) e mi sono svegliata che era finita tutta la flebo. Quindi diciamo che l’esperienza in sé non è stata negativa, non c’è stato alcun maltrattamento o mancanza di tatto. Anzi sono state tutte molto gentili e attente.

Il fatto di essere stata sedata durante l’intervento lo valuti positivamente?

Sì. Ma perché c’era un intervento. Già la parola raschiamento non è piacevole. Se ci fosse stata la Ru486 senza dubbio avrei optato per quella.

Perché avresti preferito l’aborto farmacologico?

Essere sdraiata su un lettino è d’impatto. Anche la pillola è d’impatto perché l’effetto è lo stesso. Però la prendo io, con le mie mani. Non sono manipolata, non ci sono delle persone – per dire – che parlano del tempo mentre io sto per abortire

In seguito hai raccontato la tua esperienza e in quali occasioni?

Io per tanto tempo ci ho pensato, lo penso anche adesso … questa è una cosa che non puoi dire perché c’è il rischio che tu venga estromessa dalla società. E’ una cosa che non direi mai in un gruppo qualunque per non creare terra bruciata intorno, come se fosse qualcosa di sporco. Però è assurdo che sia un tabù. Da una parte vorrei dire, quando si parla di terze persone che magari lo hanno fatto, “ah sì lo so cosa vuol dire abortire perché l’ho fatto”, proprio per vedere cosa mi rispondono. Il fatto di essere la prima a non riuscirci, mi fa rabbia. Non mi sono mai esposta con persone che non sono della mia cerchia di intimi. E’ sempre stata un’informazione che ho dato in momenti di forte confidenza, altrimenti è proprio segreta.

C’è qualcosa che vorresti dire ancora e di cui non abbiamo parlato?

La prima volta che mi sono venute le mestruazioni. Tornano dopo circa un mese e mezzo dall’intervento. Quando mi sono arrivate ho cominciato a tremare tutta e poi a piangere. Da una parte era una liberazione e dall’altra era strano vedere che il mio corpo ricominciava a funzionare come prima. E’ stato quasi un rito. Ora che ci penso è stato l’unico momento in cui mi sono lasciata andare dopo avere scoperto di essere rimasta incinta. E poi mi sono sentita meglio, anche perché temevo che avessero sbagliato qualcosa durante l’intervento e che fossi ancora incinta. A quel punto ero certa che non lo ero.

Se dovessi affidare un messaggio a questa tua testimonianza?

Di non sentirsi sola. Perché la solitudine sociale è stata la cosa più brutta che ho provato in questa esperienza.

Grazie per il tuo racconto

Grazie a te. E’ stato molto bello parlarne.

Eleonora Cirant

Image: 'Collapsing' 
http://www.flickr.com/photos/95443512@N00/15064701423
Found on flickrcc.net

Informazioni su EC

Giornalista pubblicista, bibliotecaria, web content editor, video-maker. Argomenti: diritto alla salute e salute riproduttiva, contrasto alla violenza di genere, studi di genere, cittadinanza attiva Instagram: @Eleonora_Cir

Discussione

2 pensieri su “Aborto volontario, una testimonianza. “La solitudine sociale è stata la cosa più brutta in questa esperienza”

  1. Oggi parlato una ragazza che ha avuto un intervento per una gravidanza extrauterina: non sapeva di essere incinta, ha avuto dolori forti ed è andata in ospedale, non è stata una bella esperienza… con l’occasione mi ha raccontato di una donna che non ha potuto conoscere perché è morta per aver bevuto “troppo” tè di oleandro. Allora nel suo paese si faceva così, clandestinamente e in solitudine. Mi ha raccontato anche di una minorenne migrante arrivata senza sapere di essere incinta. Non capiva bene l’italiano. Era sola. Le hanno detto che doveva avere il permesso dei genitori ma lei non sapeva come fare … le hanno dato degli aiuti per proseguire la gravidanza, aiuti immediatamente scomparsi dopo il parto. Ha dato in adozione il figlio.
    Mi hanno poi raccontato di una ragazzina, accompagnata dalla mamma in consultorio, che ha dovuto firmare (?) qualcosa (non hanno capito cosa) per darle la pillola del giorno dopo … lei però non era sola.
    Sono però contenta che questa giornata si chiuda leggendo il messaggio della donna che hai intervistato. Le hai permesso di rompere quella solitudine sociale che lei ha detto essere stata la cosa più brutta. Grazie Eleonora.
    Stefania

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    Pubblicato da Stefania La Rosa Bruno | 21 febbraio 2015, 21:03

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