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Ospedali

I gruppi post-IVG al San Carlo di Milano, lo spazio di ascolto dopo l’interruzione volontaria di gravidanza

La dottoressa Claudia Parravicini è psicoterapeuta transculturale della cooperativa Crinali. Ha seguito i gruppi post-IVG all’Ospedale San Carlo dal 2006 fino al 2014 insieme con una mediatrice culturale, spagnola o rumena. In questo arco di tempo, i gruppi post-IVG hanno intercettato 4629 donne. I gruppi sono nati, spiega, perché

Si cercava di sviluppare una presa in carico che riuscisse a coinvolgere le donne in un percorso di consapevolezza di sé, della propria sessualità e della propria salute, e che allo stesso tempo riuscisse a contrastare il fenomeno delle recidive.

Nello specifico questi gruppi post ivg si collocano come risposta ad un vuoto che si veniva a creare tra il momento della visita pre-ivg e la visita post-ivg. Un aspetto in particolare sul quale si sperava di poter lavorare era, ed è, il frequente mancato ritorno alla visita di controllo, un fenomeno già conosciuto a chi collaborava con i consultori familiari e che pure all’interno del Centro di salute e ascolto era stato rilevato.

Alla dr.sa Parravicini abbiamo chiesto di descrivere come funzionano i gruppi, quali temi emergono dal vissuto delle donne e quali dati si ricavano dall’ascolto delle partecipanti, che sono sia italiane che straniere.

Eleonora Cirant. Come dite e cosa fate nella conduzione dei gruppi post-IVG?

Claudia Parravicini. I gruppi si tengono il giorno stesso dell’operazione. Fino al 2013 in entrambi i giorni, dopo solo il lunedì per taglio dei fondi. Io e una mediatrice entriamo nella stanza dove sono le donne hanno appena fatto l’intervento. Io parto dal “sono qui per darvi informazioni tecniche”, cioè: per quanti giorni avrete ancora il ciclo, non vi preoccupate, controllate se aumenta o se diminuisce, se vi viene la febbre, questa sera mangiate qualcosa di buono, andate al consultorio, avete già scelto che contraccettivo usare, sapete come usarlo … dò qualche spiegazione, qualche spunto, materiale informativo nelle diverse lingue. Quando vedono che sono lì con loro tranquilla, non giudicante, disponibile a rispondere alle domande, a quel punto qualcuna che tira fuori qualcosa di più. Altre raccontano tutta la loro storia personale, allora dico “caspita, mi rendo conto che non è solo la giornata di oggi ma che è tutto un periodo che tu stai vivendo” … storie pesanti, come appunto compagni che lasciano, oppure compagni che hanno deciso per l’ivg e la donna non era convinta. Situazioni brutte in cui bisogna fare capire che noi siamo lì ad ascoltarle ma anche fare capire che le altre non pensino che a turno tutte ci devono dire perché sono lì. Dico sempre “mi immagino che se siete qui, è perché in questo momento della vostra vita era la scelta migliore che potevate fare e di questo dovete trarne forza”. Se una donna è venuta qui convinta, questo l’aiuta anche per il futuro, se invece la donna era un po’ più titubante rispetto alla scelta, allora può darsi che abbia più bisogno di sostegno dopo.

Quali dati ricavate sulla scelta di contraccezione in seguito all’intervento?

Su 4319 donne, il giorno dell’intervento le donne dichiarano di scegliere i seguenti metodi: 1591 spirali, 1402 pillola, 685 indecise, 280 cerotto, 180 niente**, 129 anello vaginale, 31 preservativo, 15 impianto sottocutaneo*, 6 chiusura delle tube.

Tra quelle che dicono “niente”, tante sono quelle che dicono “perché ci siamo lasciati”, “perché non voglio mai più vedere un uomo in vita mia”. A seconda del gruppo, o sono le altre che dicono “ma no, ma dai”, o sono io che mi permetto di dire che è ancora giovane, che a volte si fa pace, che magari si incontra qualcuno di meglio e che la cosa più importante è di proteggere di se stesse.

dati gruppi post-ivg

Quali temi emergono dai racconti delle donne?

Il primo tema è la rabbia. La rabbia verso gli uomini, perché “per loro non c’è niente”. Dicono: “quello stronzo non ha pensato a me”. A volte le altre dicono “sì però lì c’eri anche tu”. A seconda dei casi io mi permetto di dire: “proprio per non arrivare ad essere così arrabbiate, pensate a che cosa potete fare per proteggervi. Oggi, dico, avete tutto il diritto di essere arrabbiate con chiunque. Ma l’importante è capire che il corpo è nostro e dobbiamo prendercene cura”.

In che senso per l’uomo non c’è niente? C’è il preservativo

Il preservativo gli uomini non lo vogliono usare. Questo lo dicono tutte, è transculturale. Le donne rom lo esplicitano: il preservativo lo usano con le prostitute e io non sono una prostituta.

Con le giovani, quando intuisco che non c’è relazione stabile, allora sottolineo l’importanza del preservativo per le malattie a trasmissione sessuale. Dico che la malattia non si vede in faccia.

Questi colloqui post-IVG sono un po’ un momento di prevenzione in generale. Ad esempio, sull’anello vaginale: se non hanno mai sentito parlare dell’anello, dò qualche foglio in più per condividerlo anche con le amiche. Da quel momento possono partire anche nuove informazioni dal gruppo di amiche. Quando dico “non tutte abbiamo le amiche ginecologhe” tutte ridono, quindi vuol dire che spesso con il passaparola tra amiche girano false informazioni.

Io faccio sempre vedere come siamo fatte anatomicamente. C’è sempre qualcuna che ha scelto la spirale e quindi faccio vedere dov’è messa per fare capire che l’uomo non può spostare la spirale, anche per fare vedere a chi non vuole usare niente quali sono i rischi.

Alcune dicono che non usano niente e che si lavano dopo il rapporto, allora faccio vedere che il pene arriva fino a qui e come accade che gli spermatozoi arrivino a fecondare l’ovulo. E lì ci sono tantissime che rimangono a bocca aperta: non lo sapevano.

Magari era l’amica che le aveva detto di lavarsi. Qualcuna è stata più coraggiosa a dirlo, che le donne si lavano dopo il rapporto, e adesso io lo dico senza che nessuna me lo espliciti, e lì vedo che becco il punto. A volte anche le italiane non lo sanno. Ho presente reazioni di stupore alla notizia che noi donne abbiamo tre buchi. Tante rumene, dicono: faccio la pipì per non rimanere incinta. Benissimo, però la pipì esce da un altro buco. Ma anche le italiane, capita che lo dicano. Hanno fatto educazione sessuale?

Un altro tema è la paura che possano essere ancora incinta o che non possano più rimanere incinta. Una volta ho incontrato la stessa donna a distanza di 4 mesi e mi ha detto che voleva verificare di essere ancora fertile. Da allora ogni volta le tranquillizzo sul fatto che l’operazione è andata bene, che per il dottore è andato tutto bene, che quindi sono “funzionanti”. Che se non fosse andata bene avrebbero dei sintomi gravi di malessere.

Terzo tema è la preoccupazione per i figli, di chi c’è già, di chi mi devo occupare. A volte si parla proprio della crisi del lavoro. Soprattutto le italiane, dicono come motivazione “noi il terzo non potevamo permettercelo”, oppure “in questo momento non potevo mantenere un figlio”.

Si conosce la possibilità di avere sussidi dalla Regione in caso di rinuncia all’aborto?

Qualcuna è stata in consultorio e le hanno detto dell’aiuto, ma dicono “che cosa me ne faccio io di 250 euro al mese e solo per i primi anni”. Anche perché se a me capita un colloquio che faccio al Centro in cui il problema è prettamente economico, allora dico alla signora “la vedo poco convinta, mi aiuti a capire meglio”.

Quali altre emozioni emergono durante i gruppi?

Anche il sollievo. Il fatto di non sentirsi giudicate quel giorno è prezioso. Chi conduce questi gruppi, per aiutare e ascoltare davvero, deve riuscire a non giudicare le donne che sono lì. Adesso che sono io incinta (da quando la mia gravidanza è visibile, un’altra psicologa ha preso il mio posto), mi rendo conto di quanto sia più difficile come scelta, soprattutto per chi ha già avuto figli. Soprattutto adesso, con le tecnologie di screening prenatale, perché ti rendo conto che a 8 settimane una forma la vedi.

Altre domande delle donne sono più su “ma quanto era grande”, “era un grumo di sangue”, “ho fatto un peccato”. Se una mi parla del peccato io dico sempre “che eventualmente Dio guarda nel cuore delle donne e sa la fatica che hanno fatto per scegliere”.

Altre emozioni: grazie che siete passate, grazie che ci avete dato queste informazioni. Secondo me il fatto che noi arriviamo permette di dirsi più facilmente “condividiamola questa esperienza” anche con le altre. E’ la possibilità di capire che non si è isolate, che non si è sole, che si può parlarne.

E’ un momento che legittima parlarsi perché tante al lavoro non hanno detto niente, alla famiglia neppure, alle amiche neppure, proprio perché si sentono in colpa e sentono il giudizio degli altri. Soprattutto le italiane, “sai la gente com’è, parla, giudica…”

Che motivi date alla necessità della visita di controllo?

per verificare che si possano riprendere i rapporti e per verificare la contraccezione. Dico: “oggi ho dato qualche informazione però magari poi vi vengono domande che adesso non vi vengono”. Soprattutto per chi ha messo la spirale, l’unica persona che può tranquillizzarla che sia messa bene o no è il dottore. Anche per parlare di come si sta, da qui a un mese. Dico: “adesso siete nel turbine, magari inebetite dall’anestesia, una giustamente non vede l’ora di uscire, però dopo magari una ha voglia di parlarne”.

Nei gruppi si mescolano italiane e straniere

La cosa che a me piace tanto è proprio questo incontro di culture, il fatto che la signora filippina può parlare esattamente come la professionista italiana e hanno occasione di conoscersi. Di sentire che cos’ha da raccontare la badante ucraina sul nonnino che cura, o le donne italiane che magari non hanno le badanti ma magari invece sì! E’ uno spezzone di vita altrui che fuori non avresti occasione di conoscere. Quando c’è la rom di buon umore che ti racconta la vita al campo, ridiamo tutte. A quel punto entra l’infermiera che ci riprende, “non siete qui per ridere”. E invece è utile. Non è una risata di leggerezza ma è una risata che libera la tensione, quasi isterica. Soprattutto quando faccio vedere l’anello o la spirale, la metto anche un po’ sul ridere. Poi ogni psicologa trova il proprio modo. Per me l’ironia è uno strumento di comunicazione. Su queste 4000 e passa donne che ho incontrato, ho sempre avuto una buona sensazione, un buon feeling.

Informazioni su EC

Giornalista pubblicista, bibliotecaria, web content editor, video-maker. Argomenti: diritto alla salute e salute riproduttiva, contrasto alla violenza di genere, studi di genere, cittadinanza attiva Instagram: @Eleonora_Cir

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